La compensazione del danno – estratto

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La compensazione del danno – estratto

“Mi trovai su una nave sporca  e puzzolente di ferro e di carburante, camminavo con una sensazione di spaesamento senza sapere cosa fare quando un marinaio mi si avvicinò, mi porse una grossa ciotola di alluminio e mi disse di mettermi in fila indicando un corridoio strettissimo stipato di persone che avanzavano una dietro l’altra, lentamente e completamente assorbite dalla situazione.

“Devo mettermi in fila?”

“Certo” fece il marinaio, e si allontanò.

Pensai che probabilmente ci avrebbero dato qualcosa da mangiare, avevo fame e sete e docilmente mi misi in coda con la ciotola tra le mani. Dopo qualche minuto mi prese l’ansia, in quel corridoio mancava l’aria e mi rivolsi  all’uomo davanti a me.

“Scusi, per che cosa si fa questa fila?”

“Per comprare le lacrime, no?”

“Come? Comprare lacrime? Ma io non voglio comprare lacrime, non voglio assolutame”

“Ma lei che cosa ci è salito a fare su questa nave, scusi?”

“Voglio uscire da questo corridoio” dissi in preda al panico, mi voltai per vedere se fossi ancora l’ultimo della coda ma dietro di me era arrivata altra gente, tanta gente. Mi girava la testa e avevo paura.

“Non si può – disse l’uomo davanti a me – ormai ha la sua tazza e deve comprare le lacrime.”

Provai a voltarmi di nuovo e a chiedere permesso spingendo un po’ per sgattaiolare via ma ogni movimento era impossibile: avevamo le braccia quasi incollate alle pareti del corridoio, non si poteva retrocedere a meno che tutti quelli alle mie spalle non avessero deciso all’unisono di rinunciare a stare in fila. Ero atterrito, mortificato e angosciato all’idea di continuare a dondolare sulle gambe avanzando verso un venditore di lacrime. Tutta quella faccenda era inverosimile, mi domandai se stessi impazzendo o se invece tutti gli altri su quella nave fossero pazzi e io il solo ragionevole. Respiravo con la bocca per non sentire il puzzo del sudore che si mescolava a quello di carburante e di ferro surriscaldato, non sapevo quanto tempo ancora avrei resistito in quelle condizioni e non so dire quanto tempo passò finchè riuscii a vedere sbirciando tra le teste che mi precedevano un uomo vecchio e grasso che prelevava un liquido da un enorme calderone, lo versava in ogni ciotola e si faceva pagare.

“E’ quello il venditore di lacrime?”

“Si, tra poco ci siamo anche noi. Prepari i soldi.”

Quando l’uomo davanti a me ebbe pagato arrivò il mio turno, mi sentii venire meno e mi svegliai di soprassalto, tutto sudato. Clelia dormiva, la casa era immersa nel silenzio, le pareti non rimbombavano. Mi alzai e andai a guardare i bambini, poi entrai in cucina per bere del latte freddo,  accesi una sigaretta e uscii sul balcone. Ero sconvolto, avevo fatto un sogno tremendo, uno di quei sogni che quando finiscono lasciano dentro una specie di dolore e sembrano talmente reali da sovrapporsi allo stato di coscienza per giorni. Guardai il cielo pieno di nuvole e cominciai a pensare a mio padre, a quando da bambino mi metteva sulle sue ginocchia e muovendo le gambe con un ritmo regolare e veloce mi faceva andare su e giù tenendomi le mani e dicendo prucci prucci cavallucci  e io ridevo contento, difatti quello è uno dei ricordi della mia infanzia più vivi non soltanto per la mia personale contentezza ma perché anche mio padre rideva e aveva una faccia giovane. Doveva avere l’ età che ho io adesso o anche meno. Quel gioco l’ho ripetuto con Luca e ora lo faccio con Lorenza con la differenza che non ho più la capacità di ridere normalmente, diciamo che riesco ancora faticosamente a sorridere, quindi Lorenza da grande non ricorderà mai il suo papà giovane che si divertiva.

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