Il gioco del calcio è sacro

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Il gioco del calcio è sacro, intoccabile, riempie un vuoto, la magia del pallone salva e danna, l’epopea domenicale della partita riesce a edificare un sogno, milioni di sogni. Neanche la crisi economica scalfisce la fede cieca dei tifosi e dei sostenitori dello sport più amato dagli italiani. Quando un calciatore di quelli che mandano in visibilio le folle si comporta male nella vita privata, froda il fisco o si dà alle scommesse clandestine non c’è nessuno che ami discuterne. Gli eroi contemporanei sono loro, e un eroe non si discute mai. Per non parlare di soldi: che importa se lo Stato italiano – quindi noi cittadini – si assume l’onere di finanziare il Coni con oltre 400 milioni all’anno. Che importa se lo Stato – quindi noi cittadini – spende quasi 100 milioni ogni anno per mandare avanti tutto l’ambaradan, sobbarcandosi tutte le spese relative alle forze dell’ordine, ai trasporti, ai danni alle strutture e ai mezzi di trasporto, agli incidenti, ai processi, ai detenuti eccetera eccetera. Fa parte del gioco anche una certa dose di violenza, è funzionale al sistema e lo tiene in piedi, e pure la violenza costa. In Parlamento, dopo molti tentativi andati a vuoto, si è riusciti a ottenere che le società calcistiche versino un piccolo contributo per gli straordinari della Polizia, un’inezia che oscillerà dall’1% al 3%. Una percentuale che fa ridere se solo si pensa al monumentale giro d’affari che ruota intorno al calcio e in particolare alla serie A. Ma quale rilevanza può avere il costo del calcio rispetto ai benefici? Se non ci fosse il pallone a tenere impegnate milioni di persone innamorate della propria squadra, per le strade ci si sparerebbe a vista. Fortunatamente c’è di che sfogarsi, c’è di che stare occupati: tra campionati da seguire, stampa specializzata da spulciare per farsi una cultura e trasmissioni televisive dedicate, sette giorni su sette il tifoso è impegnatissimo. Non c’è pericolo che il tifo possa scemare, è impossibile: la malattia si trasmette per linea diretta, di padre in figlio. E’ molto più facile trasmettere alle nuove generazioni il tifo che il bene. Lo stadio è il primo monumento che le famiglie fanno visitare ai bambini: domina il paesaggio urbano come la parrocchia, anzi di più, è il luogo dell’appartenenza e dell’urlo primigenio. Il pallone rotola nei cortili, nelle piazze, sa far piangere gli italiani a singhiozzi, disperatamente, e sa farli ridere e gioire, li unisce e li divide. Non parliamone proprio più, dei costi. Non c’è niente altro che valga la pena, siamo d’accordo?

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