C’era una volta la lampadina a incandescenza.

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C’era una volta la lampadina a incandescenza. Illuminava le nostre case con una bella luce calda uguale a quella naturale. Faceva atmosfera, un lume da tavolo acceso in un angolo di una stanza riverberava tutto intorno i riflessi di un tramonto.

E’ arrivata una direttiva europea e le abbiamo fatto il funerale, la vecchia lampadina consumava troppo ed era diventata sconveniente, quasi scandalosa. Quando seppi che in un paio d’anni non se ne sarebbe più trovata una in giro andai subito dal ferramenta e gli dissi “mi dia tutte le lampadine a incandescenza che ha, tutte tutte”. Mi conosceva bene, il ferramenta, ma mi guardò come fossi ammattita, con un’espressione a metà tra il disappunto e il divertimento. “Chi glielo fa fare? Vuole spendere di più e inquinare ancora?” mi chiese mentre a piene mani riempiva con decine e decine di vecchi bulbi un paio di buste capienti.

Non risposi, ma avrei potuto spiegargli che le lampade a basso consumo mi facevano (e mi fanno) venire il mal di testa. Gettano sulle cose intorno una luce orribile. Bianca, gialla, calda o fredda non fa molta differenza, la luce delle nuove lampadine cambia i colori, li “sporca” e la nostra pelle, i tessuti, le pareti, i quadri assumono tonalità meno naturali. Niente è più com’è, quando è sera. Per me è impossibile sopportare l’alterazione dei colori, un pò perché ho lavorato sempre con la pittura e con le stoffe, un pò perché ho un grosso difetto, direi un handicap: un senso estetico abnorme, il che di questi tempi riesce a raddoppiare le mie difficoltà di adattamento. La luce diffusa dal bulbo a basso consumo mi fa venire una tristezza tremenda, come se mi trovassi nella sala d’aspetto di un ospedale.

Non si tratta solo di sentimenti e di vizi, c’è dell’altro. Nelle nuove lampadine c’è il mercurio, che è volatile e se una di queste lampadine ci scappa di mano e si rompe costituisce un pericolo, tanto è vero che se accade bisogna aerare l’ambiente per almeno trenta minuti, e magari è inverno e abiti in Valle d’Aosta e fuori c’è pure la neve. Non è finita qui. La lampadina a basso consumo emette radiazioni elettromagnetiche, e non soltanto un pò, proprio parecchio, per cui bisogna fare in modo da evitarne l’uso per i lumi sui comodini e per quelli sulle scrivanie, perché tenere le nostre teste troppo vicine alla fonte di quella luce è un altro pericolo, specie per i bambini. Lo so che ci sono le alogene, ma emettono radiazioni anche loro, e infine so bene che ci sono i led. Il futuro è il led, tra breve avremo sul mercato un led a costi accettabili e a luce forte, ci dicono. Benissimo, intanto nel presente i led non illuminano un accidenti, sono deboli, oltre a costare davvero troppo. In attesa di questo futuro a led ho clandestinamente commesso il peccato di inquinare con la mia scorta di vecchie lampadine incandescenti, bellissime, così belle che le conservo quando si fulminano per farci l’albero di Natale.

Mi hanno fatto qualche predicozzo ipocrita, hanno detto che  mi comporto male, il mio atteggiamento è poco responsabile, individualista: sono out. La mia debolezza è out? Non vorremo attribuire il crollo del nostro sistema economico all’uso delle lampadine per un paio di secoli, spero. Tutto è stato sepolto da una valanga di falso progresso, c’è sempre un modello nuovo per ogni oggetto d’uso comune, e quando arriva è salvifico, poi immancabilmente nel giro di pochi anni ti dicono che stai adoperando un killer dell’ambiente e te ne forniscono un altro.

Di fronte alle radiazioni, al mercurio, ai prodotti chimici, al carbone, agli ogm, agli anticrittogamici, ai rifiuti delle fabbriche, ai veleni che sbuffano dalle marmitte, a tonnellate di scorie radioattive le mie lampadine sono una poesia, sono solo il prolungamento di un piacere che si sta estinguendo: me ne restano solo otto, di quei bulbi. Dopodiché saranno le candele.

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