Chiacchierata con un emigrato italiano

Share

Chiacchierata con un emigrato italiano

Antonio vive a Londra da 5 anni, a ventitré anni guadagna un ottimo stipendio e ha un contratto a tempo indeterminato. All’estero si investe sulle persone, in ogni settore e ad ogni livello,  ed è questo che spinge moltissimi giovani a lasciare il loro paese per provare a costruirsi un futuro altrove. L’Italia non investe sui giovani, né su quelli senza titolo di studio né sui laureati super specializzati: Li lascia andare via.

Chiacchierata con un emigrato italiano a Londra: l’ho incontrato durante un fine settimana a Napoli, dove è tornato per vedere i genitori. Si chiama Antonio Caputo, ha 23 anni, a 18 anni è partito per Londra in cerca di fortuna e di un posto fisso. E’ un ragazzo semplice e determinato, più maturo della sua età. Gli ho chiesto subito degli inizi, se sono stati difficili. Mi ha risposto così:

” E’ stato terribile, ero completamente impreparato: mi mancava la famiglia e mi mancava il nostro clima, il calore delle persone. Mi pare normale. Avevo problemi con la lingua, non spiccicavo una parola d’inglese. Durante i primi tre mesi ho perso 10 chili per lo stress emotivo, non riuscivo a comunicare e capivo poco di quello che mi dicevano. Mi hanno aiutato parecchio tre amici napoletani che stavano a Londra da un anno. Sono stati loro a dirmi di raggiungerli, a insistere. Dicevano che si stava bene, che il lavoro c’era. Abbiamo abitato per un anno nella stessa casa in sette per dividerci le spese, dormivamo a turno per terra col sacco a pelo. Adesso siamo in quattro e ognuno ha il suo letto.”

“Il lavoro l’hai trovato presto?”

“Prestissimo, dopo due settimane ero tuttofare nella cucina di un ristorante, e la paga era bassa. Gli straordinari però me li calcolavano sempre, era automatico. Adesso sto ancora in quel ristorante, è un bel posto, grande. Mi sento stimato. In questi anni ho lavato i piatti e scaricato le cassette delle verdure, poi ho servito in sala, alla fine sono ritornato in cucina a imparare e adesso faccio l’aiuto cuoco, in pratica le mie mansioni sono quelle di un cuoco, poco ci manca. Mi hanno seguito passo passo, mi hanno cresciuto, e questa è una cosa che mi ha dato serenità, mi faceva uscire fuori la voglia di continuare. Due mesi fa mi ha raggiunto mio fratello minore, che ha frequentato l’alberghiero e che è stato accolto dal padrone del ristorante con fiducia. Io ero un po’ una garanzia per mio fratello, capisci? Il primo giorno gli hanno chiesto semplicemente di tagliare una cipolla. Lui era stupito, ha scelto il coltello giusto, s’è messo ad affettare quella cipolla sottile sottile e veloce veloce davanti a tutti. Tanto è bastato al cuoco e al proprietario del locale per decidere che in quella cucina ci poteva stare. Ancora non ci credo.”

” I turni sono massacranti? Ti pagano bene?”

“Prima, quando dovevo farmi le ossa, lavoravo praticamente tutta la giornata fino alla sera tardi, mi ammazzavo. Dovevano capire che avevo voglia di fare. Adesso lavoro otto ore, guadagno uno stipendio che in euro è di circa 2000 al mese, e sono stato assunto a tempo indeterminato. Mi sento un re” dice ridendo.

“I tuoi a Napoli che cosa fanno?”

“Mia madre lavora in nero, lei fa la domestica a ore e lava le scale dei condomini. Papà fa il barista in un minimarket da vent’anni. In due non arrivano a guadagnare come me. Dal 2004 mio padre ha ottenuto un contratto part time ma lavora dalle 7 del mattino fino a oltre le nove di sera e non sta solo dietro al bancone a servire caffé: porta la spesa a domicilio ai clienti, pulisce il negozio, riempie di merce gli scaffali, insomma fa un po’ di tutto da sempre e la domenica lavora fino alle 14, ma non gli pagano mai lo straordinario. Per me questo non è rispetto del dipendente, è tutto un casino. Papà è uno dei tanti. I ragazzi come me stanno molto peggio, li sfruttano solo e poi dopo un po’ li mandano via. Conosco persone di trent’anni che si accontentano di 400 euro al mese perché pure se cambiano posto è uguale. Glielo dico, vieni con me, all’estero è tutto vero, in Italia è solo finzione, il tempo passa e non migliora niente.”

“Hai un desiderio, un progetto?”

“Il mio scopo è quello di aprire un locale tutto nostro, mio e di mio fratello, e di permettere anche a mamma e papà di stare meglio. Vorrei portare i miei genitori in Inghilterra. E’ presto, ma nella testa ho questa idea, e l’importante è che mi sembra una cosa possibile.”

“Tra gli italiani che hai incontrato a Londra nessuno si è trovato in difficoltà?”

“Non quelli che conosco io. Noi siamo persone senza laurea, veniamo da famiglie che non sono benestanti, quindi ci sappiamo adattare. Non cerchiamo l’impossibile, cerchiamo di avere una vita dignitosa, di avere il modo di dimostrare qualcosa, se valiamo qualcosa vogliamo raccogliere i frutti, migliorare. In Italia se vali in un qualunque settore non lo puoi dimostrare, non ti fanno crescere. Per i laureati è uguale, la stessa fregatura. In Inghilterra le tasse sono più basse, gli stipendi sono più alti e i servizi per i cittadini funzionano veramente. Vuoi mettere?”

 

Share
Precedente Il richiamo della protesta Successivo Un grafico è meglio delle parole