Chiambretti e il suo hotel burlesco

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Chiambretti e il suo hotel burlesco

Ogni tanto la televisione regala qualche suggestione. Piero Chiambretti accoglie i telespettatori nella hall del suo Grand Hotel che all’esterno è il Budapest del visionario film di Wes Anderson , ma che all’interno è diverso, meno fiabesco e più sgargiante.

 

Chiambretti e il suo hotel burlesco fanno un certo effetto. Lì dentro aleggia l’incubo di un ghetto stracolmo di strabilianti personaggi ignoti e di altri che son noti ma inesorabilmente impagliati o meglio impigliati. L’atmosfera – più che da Grand Hotel – è quella di una Venise qui pur le bal s’habille, e chiedo scusa a Théophile Gautier. Lì dentro si percepisce una ricca trama di trovate audaci nella scenografia, nelle musiche, nella scansione del tempo dello spettacolo, che è ritmato e carnevalesco. Chiambretti è un ottimo padrone di casa, ma l’ospitalità del suo hotel è meno innocua di quanto non sembri ai suoi ospiti, inermi e confusi: lui pare sorreggerli e assecondarli mentre li priva di tutte le scappatoie e prima che qualcuno di loro se ne renda conto torna a sostenerli sull’orlo del nulla per non farli cadere. Fa la stessa cosa anche con gli spettatori che guardano da casa, i quali probabilmente non trovano il modo di decidere : è varietà, ma è o non è Canale5?, oppure dietro al luccicore da eterno natale c’è poca pietà e l’intento è quello di svelare il vuoto che si annida dietro all’apparenza?

Ho guardato solo una puntata, e mi è bastata per essere sicura che Chiambretti preservi con amore solo i “suoi”, vale a dire il fantasioso e inquieto personale dell’hotel, mentre agli ospiti riserva la pericolosa formula del realismo senza ali. Cosa ho visto nella puntata del 3 aprile? Due gemelle ventenni, vincitrici dell’Isola dei famosi, talmente gemelle che parlano e pensano all’unisono. Erano accompagnate da fratello e mamma, quest’ultima col viso restaurato e le labbra a canotto, sollevata da terra da un paio di scarpe alte quanto uno sgabello e brutte come neanche più sono brutte quelle ortopediche. Chiambretti le gemelline le ha trattate coi guanti, fino a quando non ha domandato loro a chi si ispirassero tra Madonna, Gianna Nannini e Donatella Rettore. Le gemelle si fanno chiamare “le Donatella”: era palese che scegliessero Rettore, e quando Rettore è entrata nella hall dell’hotel per le due ragazze il destino e il futuro si sono palesati senza che il padrone di casa facesse null’altro per infierire. Il portiere di notte, Cristiano Malgioglio, ha tralasciato per un attimo la lettura dei quotidiani stranieri, giusto per il tempo di attribuire alla cantante doti e maestria senza pari.

La Donatella adulta, ancora più magra e pallida delle gemelle, si è assestata non so come su una poltrona tentando di tenere a bada le gambe da fenicottero, lunghissime e ingestibili a causa delle solite scarpe dal tacco vertiginoso, più pesanti senz’altro di tutta lei, capigliatura e monili compresi. Col volto tumefatto dalla chirurgia estetica e da evidenti infiltrazioni di quella roba che serve a dare turgore a chi il turgore non ce l’ha più, la Rettore ha dato un saggio della sua sagacia e della sua arroganza triste sparlando di tutti, da Madonna fino ai nostrani talenti: Vasco Rossi, Mina che “piace solo alle checche anziane“. Non gliene andava bene nessuno, il meglio sulla piazza era lei. Scherzava? E che ne so, ho paura di no. Ho visto anche Lory Del Santo in veste di sponsor di un film di cui è autrice e che Chiambretti – bontà sua – ci fa vedere a piccole dosi, un tantino a puntata. Dopo la breve proiezione la regista ha ricevuto una caterva di critiche ma si è difesa bene: “Siete vecchi“, ha ribattuto, convinta della validità del suo asemantico cinema. Colpiscono Lola e Nora Mogalle. Ballano, talvolta cantano, e soprattutto passano. Creature di sfolgorante bellezza, visione “terza” che esprime la tenera labilità e il fluttuamento del transgender. Che lo siano o meno non ha alcuna importanza, conta la sensazione di ambiguità che l’apparizione suscita. Se vi capita date un’occhiata a quella hall, non è niente male.

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