La cultura ai tempi del megastore

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La cultura ai tempi del megastore

Non c’è gioco per il commercio all’antica, quello normale del piccolo imprenditore. I negozi di libri spariranno tutti, prima o poi. Il lusso e il cibo la fanno da padroni, moriremo ignoranti ma sazi, grassi, e con una borsa firmata a tracolla

La cultura ai tempi del megastore e dello shopping center muore. Muoiono anche negozi che dalla seconda metà dell’800 erano parte integrante del panorama di ogni città italiana, sopraffatti dalla crisi e spazzati via dai marchi del lusso, come Vuitton ed Hermès, spazzati via dai sovrani del commercio. Le librerie non ce la fanno perché i costi degli affitti sono più alti, i lettori sono diminuiti e i libri o gli e-book si ordinano comodamente da casa, magari su Amazon, con lo sconto assicurato e nessun problema di parcheggio. Ogni settimana in ogni città italiana dunque chiudono librerie, negozi storici, si sgombrano cinema e teatri e si fa largo a qualche brand del lusso o a un supermercato. L’ultima libreria romana che ha chiuso i battenti e che sarà sostituita tra breve da un megastore di articoli sportivi è Croce, teatro di conferenze e dibattiti. un tempo frequentata da Ginzburg, Moravia, Pasolini. L’hanno preceduta, sempre a Roma, Arion, Herder, Reminder, Bibli, Amore&Psiche, Feltrinelli. Anche a Firenze si sono abbassate per sempre le saracinesche di Il porcellino, Marzocco, Le Monnier, Mertelli, Edison. Proprio al posto di Edison è nata una delle novità dell’anno in fatto di stores: Felltrinelli ha inaugurato il suo primo store RED, sigla che sta per read, eat, dream, leggi, mangia e sogna, e si perché da RED non ci sono più solo libri e musica, si mangia anche, e si può girare tra gli scaffali di un reparto enogastronomico di tutto rispetto, affidato a Slow food di Carlo Petrini, col quale Farinetti ha già rapporti di collaborazione che a breve potrebbero sfociare nella creazione di una public company.

A Napoli la débacle più eclatante e dolorosa è stata quella della casa editrice Guida, la più importante nel sud Italia, frequentata da Ungaretti, Eco, Montanelli, Croce, Kerouak, e che aveva anche due storiche librerie, una delle quali a Port’Alba, da sempre passeggiata culturale della città e che recentemente ha registrato l’ultimo insano affronto: sono state smantellate le bancarelle di libri che praticamente esistevano da sempre e che facevano di quei metri di strada un caratteristico punto d’incontro. Hanno chiuso i battenti anche Pironti, De Simone, Marotta, Libri&Libri, per non parlare dei cinema Empire e Arcobaleno, tutti e due soppiantati da supermercati.

Milano fa sempre le cose più in grande: l’ex teatro Smeraldo è diventato Eataly, l’ex cinema Excelsior un megastore. In piazza San Babila è nato un luogo-emblema di quella che è già e che sarà sicuramente la tendenza del commercio in futuro: il Brian&Barry Building, un palazzone di 12 piani che ospita il meglio in ogni settore dello shopping, dal design ai gioielli, dalla tecnologia all’abbigliamento passando naturalmente per la ristorazione, la quale è stata affidata alle eccellenze, per cui non poteva mancare un Eataly Café con Lavazza al piano terra ed un’hamburgheria Eataly nonché il ristorante Meataly al terzo piano, oltre ad Eataly con Rossopomodoro per la pizza e la pasta. L’Harrod’s nostrano è pronto per far fare bella figura all’Italia quando per Expo 2015 arriveranno carovane di stranieri. Nei megastore solitamente si entra alle 10 del mattino e vi si può restare fino alle 22, sette giorni su sette. Non c’è gioco per il commercio all’antica, quello normale del piccolo imprenditore. I negozi spariranno tutti, prima o poi. Il lusso e il cibo la fanno da padroni, moriremo ignoranti ma sazi, grassi, e con una borsa firmata a tracolla.

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