Diaz: la condanna della UE arriva tardi

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Diaz: la condanna della UE arriva tardi

In Italia a Montecitorio si discute da due anni l’introduzione nella legislazione del reato di tortura, che manca. Abbiamo aspettato quattordici anni per avere la conferma da Strasburgo che le violenze subite da persone inermi alla scuola Diaz fossero torture: da soli non ce l’avremmo fatta, e c’è di che vergognarsi. La Corte europea inizialmente però aveva respinto il ricorso, quindi la condanna di quegli atti indicibili arriva tardi.

Diaz: la condanna della UE arriva tardi. Sono passati ben quattordici anni. Ora si può dire tortura quando si parla di uno dei più brutti episodi che hanno svilito la nostra democrazia: il blitz alla scuola Diaz. I fatti del G8 sono stati giudicati e condannati dalla Corte europea, la quale però in passato non aveva accolto il ricorso da parte delle vittime. In Italia se non fosse stato per la tenacia di un magistrato (Emilio Zucca) tutto sarebbe stato messo a tacere. Nel 2008  quindici poliziotti, guardie penitenziarie e medici carcerari vennero condannati ma nel frattempo nel 2013 è arrivata la prescrizione per tutti. I responsabili istituzionali di spicco naturalmente non hanno mai subito alcuna conseguenza.

La nostra legislazione non contempla ancora il reato di tortura, e già questa è una gravissima anomalia, e così per sapere se il blitz alla Diaz avesse a che vedere con la tortura abbiamo dovuto aspettare che ce lo dicesse Strasburgo. E’ anomala anche la fulgida carriera di Giovanni De Gennaro: è stato capo di Gabinetto del Ministero dell’interno, Commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania, nel 2008 è stato nominato Direttore del dipartimento informazioni per la sicurezza ed è rimasto lì fino al 2012, poi è diventato – durante il governo Monti – sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ricevendo anche le congratulazioni di Massimo D’Alema.

Oggi De Gennaro è Presidente di Finmeccanica. Eppure fu rinviato a giudizio per i fatti avvenuti alla Diaz di Genova (assolto in primo grado dall’accusa di istigazione a dichiarare il falso, condannato in secondo grado e poi assolto perché i fatti non sussistevano), e in seguito, sempre insieme a Scajola (Dio li fa e il diavolo li accoppia), negò pure la scorta a Biagi, il giuslavorista che Scajola definì rompiballe e che morì ammazzato a Bologna, solo e indifeso. I due a tale proposito avrebbero dovuto essere interrogati dalla Procura di Bologna per chiarimenti, ma non se n’è saputo nulla.

 

De Gennaro giudicò il blitz alla scuola Diaz con queste parole: “era una normale perquisizione trasformata in operazione di ordine pubblico dal comportamento violento degli occupanti”, dunque più che per istigazione a dichiarare il falso avrebbero dovuto condannarlo per aver mentito egli stesso. De Gennaro in quel periodo volle anche ribadire la sua piena solidarietà e stima nei confronti delle forze dell’ordine. Anche Cossiga definì le violenze inaudite perpetrate a Genova “al massimo un eccesso di reazione”. Scajola, allora ministro dell’interno, restò al suo posto. Nel nostro paese l’importante è non far cadere i governi, mai: per la ragion di Stato si può arrivare a rinnegare la propria madre. Gianfranco Fini dichiarò che la mozione di sfiducia presentata alla Camera contro il governo fosse niente altro che un’operazione di strumentale propaganda politica e si disse convinto che i manifestanti violenti avessero ricevuto l’appoggio di alcuni parlamentari. Fini si espresse convintamente a difesa dell’operato delle forze dell’ordine ribadendo che le decisioni dell’esecutivo furono giuste, l’unico modo possibile per difendere dai facinorosi i grandi della terra. 

Fini malgrado tutto è stato osannato e ammirato soprattutto dalla sinistra italiana dopo che aveva assunto una posizione di netto contrasto a Berlusconi: c’è stato effettivamente, ahinoi, un periodo in cui molti intellettuali, la stampa e numerosi personaggi dello spettacolo notoriamente impegnati e di sinistra lo considerarono “l’uomo nuovo” a cui potersi affidare per il futuro politico italiano. La memoria corta è un grave difetto e fa brutti scherzi: il guaio è che solitamente sono proprio gli smemorati quelli che godono di maggiore visibilità, che hanno facoltà di influenzare l’opinione pubblica e che decidono a chi affidare incarichi di prestigio.

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