Dicono sempre che il cinema italiano è in crisi

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Dicono sempre che il cinema italiano è in crisi

Dicono sempre che il cinema italiano è in crisi, lo dicono anche quest’anno malgrado l’oscar a La Grande bellezza e malgrado negli ultimi anni e durante la scorsa stagione siano usciti film di qualità, gradevoli e talvolta decisamente belli. Il problema è la distribuzione, perché i soliti noti imperano, occupano per due o tre mesi i tre quarti delle sale con un film di cassetta e tutti gli altri restano confinati nell’ombra per sparire in una sorta di buco nero dopo una sola settimana di programmazione. Allora ci raccontano la solita storia, che gli italiani vogliono ridere e che se non ci fosse stato Zalone a risollevare le sorti del cinema quest’anno i conti sarebbero stati disastrosi. E’ vero che c’è un tipo di  spettatori che si fanno scegliere dai film piuttosto che sceglierli, proprio per questo diventa scandaloso monopolizzare tutte le risorse su un solo prodotto o su un genere di prodotto penalizzando sempre la qualità e il talento. Non è detto che la qualità sia sinonimo di noia e di pesantezza, non è vero e basta citare qualche titolo recente e meno recente per sfatare un altro cliché: Le conseguenze dell’amore, Viaggio sola, Viva la libertà, La mafia uccide solo d’estate, Il capitale umano, Le meraviglie, Educazione siberiana. Se diamo un’occhiata agli incassi di alcuni di questi film e li paragoniamo a quelli di Sole a catinelle (euro 50.420.830) qualche dubbio sul fatto che vi siano delle storture da correggere e che il mercato sia drogato è legittimo. Educazione siberiana, che ha incassato più di tutti gli altri, ha totalizzato 4.378.000 di euro. Se un cinema proietta il film di cassetta in 6 sale sulle dieci che ha a disposizione e lo fa per 6 settimane consecutive non significa che obbedisce alla domanda del consumatore, è quest’ultimo che obbedisce a un super-stimolo.

Quando sta per uscire il film comico dell’anno non c’è programma televisivo che non ospiti attori e registi, diventa un bombardamento, un gorgo che ti risucchia, ti arrendi, finisci con l’andare a vedere quel film per non sentirti tagliato fuori e anche per sfinimento. Resiste solo un temerario ristretto numero di alieni. Per non parlare dei privilegi che accordiamo al cinema americano. Gli americani il cinema spettacolare lo sanno fare, niente da dire, e sanno anche osservare il mondo con inquietudine per riproporcelo con implacabile perfezione, ma è innegabile che insieme a quelli ottimi arrivino nelle sale cinematografiche certi film orribili nei quali la sola cosa che conta sono gli effetti speciali, eppure surclassano i nostri perché li lanciano sempre sulla corsia preferenziale. Se si continua a fare sempre lo stesso errore di occuparsi solo di classifiche e di vendite senza mai rischiare di smentire la cantilena “sono gli italiani che lo chiedono”,  la crisi del cinema non si risolverà mai. Piccoli produttori indipendenti crescono, ma quanto soffrono! Provare a invertire le cose, sollecitare l’umano sentire anche con leggerezza ma non più con la stupidità si potrebbe e si dovrebbe. Non se ne può più delle logiche del mercato, con la scusa del mercato e dei profitti si affossa l’arte, si affossa la cultura, si affossa il talento, si negano aiuti e sostegni a giovani registi con in testa una folla di idee. Non è una buona politica: in ogni campo dell’industria, cinema compreso, ci sono due o tre che la fanno da padroni e che dettano le formule del successo. Neanche ce lo domandiamo se va bene così, l’abitudine è una malattia pericolosa.

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