Elena Ferrante non è Cenerentola

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Elena Ferrante non è Cenerentola

 “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?” La domanda di Nanni Moretti ha una risposta scontata: non apparire, in una società afflitta dall’eccesso di visibilità e dal presenzialismo, è una scelta vincente.    

 

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Elena Ferrante non è Cenerentola. Non è che starsene nell’ombra significa non essere impaniati e coinvolti nello show-biz. A chi la raccontano? Ha accettato di partecipare al Premio Strega con l’ultimo libro, ma qualcuno aveva dubbi? Saviano non si sarebbe scomodato a invitarla pubblicamente se non ne fosse stato certo. Ferrante ci sarà ma non ci sarà, è ovvio.  “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?” si chiedeva Nanni Moretti: è chiaro che quando non ci si mostra, in un mondo fondato sull’eccesso di visibilità, ci si fa notare molto più che perdendosi con gli altri nell’orgia presenzialista. Chi ha deciso di costruire questo personaggio lo sa benissimo e i risultati li ha toccati con mano. Siamo tutti lieti per la scrittrice e per l’editore, ma la storia di una Elena Ferrante estranea a certi giochetti – lei la sola cosa vera in un ambiente tutto finzione – è la negazione dello spirito laico che la cultura dovrebbe rappresentare.

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In questi giorni hanno patrocinato la candidatura della scrittrice al Premio Strega con dosi di retorica francamente eccessive, con una verbosità appiccicosa come uno sciroppo: quelle lettere comparse sulle pagine di uno dei maggiori quotidiani del paese traboccano moralismo e anche un po’ di supponenza. La scrittrice ha impiegato tre giorni a dire si, ed ora è così compresa nella parte della rianimatrice del concorso da lanciare una sfida o un ricatto: più o meno ha scritto che se si piazza tra i finalisti significa che il Premio Strega non è morto, se invece non rientra neppure nella cinquina significa che il premio è proprio stracotto, è falso e non vale la pena di tenerlo in vita. A leggerle, quelle lettere, si fa presto a rintracciare tutta l’ autoreferenzialità che Saviano e compagnia bella dicono di voler demolire.

La presenza-assenza di Ferrante allo Strega è soprattutto un’operazione commerciale, che gioverà più al premio che a una scrittrice a cui non serve alcun rilancio. La partecipazione alla gara non è neanche troppo corretta, a ben vedere. Lo pensa Sandro Veronesi, che naturalmente sa quanto sia vantaggioso per un concorrente recitare il ruolo di fantasma. Veronesi, in sintonia col pensiero di Elisabetta Sgarbi, ha dichiarato: «Non credo che uno scrittore di cui non conosciamo l’identità potrebbe partecipare. Se decidi di non esistere allora non vai allo Strega. Perché Ferrante non dovrebbe sottostare alle stesse regole degli altri? Sinceramente mi pare un giochetto di marketing: non so se sia più lo Strega a servirsi di Ferrante o Ferrante dello Strega. Per questo se dovessero candidarla potrei dimettermi da Amico della Domenica. A meno che l’autrice non sciolga il mistero della sua identità». Ecco, ci manca solo il coup de théatre.

Fatto sta che c’è un precedente: da esordiente Elena Ferrante aveva già partecipato allo Strega con L’amore molesto, poi portato al cinema da Martone. Non fece scalpore perché allora davvero non era nessuno, e il mistero sulla sua identità non suscitava interesse. I premi letterari sono come Miss Italia dove la vincitrice dopo qualche giorno non se la ricorda nessuno e la terza classificata insieme a qualche esclusa fa carriera. Gli addetti ai lavori sperano che allo Strega prossimo venturo vinca Ferrante perché le favole devono avere sempre un lieto fine: il Premio Strega dimostrerà di non sottostare ai diktat della grande editoria, il libro di Cenerentola sgretolerà ogni trama segreta e vissero tutti felici e contenti.

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