Evitare il contatto per cortesia

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Evitare il contatto per cortesia

L’uomo contemporaneo previene il pericolo e si difende da tutto: dagli altri, dalle malattie, dalla confidenza, dal dolore. I ricchi si difendono più dei poveri, gli adulti più dei giovani, i nordici più dei meridionali. I bambini e gli innamorati invece non si proteggono affatto, non sentono ragioni

Evitare il contatto per cortesia. Dobbiamo stare sempre attenti al contatto: col corpo degli altri, col loro sudore, col sangue, con l’alito, gli starnuti i colpi di tosse la saliva, le loro posate i bicchieri le tazzine le mani. La società contemporanea è diventata diffidente perché ha perduto il suo equilibrio. Prima o poi potremmo finire col considerare i rapporti virtuali come i più appropriati. Basta andare dal dentista per avere la conferma che l’imperativo è prendere le distanze, perché non si sa mai. Un dentista moderno ti si avvicina bardato come un astronauta, lo riconosci solo dalla voce, è tutto coperto e ti affronta come se fossi una bomba da disinnescare. Precauzione. Non si sa mai, il contagio è dietro l’angolo. La paura del contagio è più o meno irrazionale, spazia dall’influenza alla Tbc, dall’Hiv all’ebola, dall’epatite a un semplice herpes: il corpo degli altri è il pericolo, una possibile fonte di magagne da cui bisogna assolutamente prendere le distanze. I maniaci del contagio quando sono fuori casa si lavano le mani appena possono, alcuni escono di casa muniti di fazzolettini disinfettanti con cui all’occorrenza si strofinano dopo aver stretto la mano a un estraneo. Ognuno è il confine di se stesso, ognuno la guardia del corpo della propria pelle. Dopo gli attentati a Parigi va ancora peggio: il corpo di un estraneo potrebbe essere addirittura esplosivo.

Le porte aiutano molto. Impediscono l’osmosi, separano. La porta di casa, quando si chiude alle nostre spalle, sancisce la privatezza assoluta di un territorio sacro: si comincia a mettere fuori lo sporco della strada col tappetino davanti all’ingresso. Sembra un innocuo oggetto d’uso quotidiano, ma è la prima barriera dell’invalicabilità e della protezione: un cortese avviso. Non si entra senza parola d’ordine, senza invito, senza aver prima pulito le suole, lasciandosi analizzare dallo spioncino.  Esistono culture marittime votate al vento e all’orizzonte, che amano togliersi scarpe e vestiti, ed esistono culture che amano avvolgersi in abiti pesanti con cui ripararsi dallo scorrere della vita. Non è una mera questione di clima. La cultura del nord Europa è grandiosa nell’evoluzione di meccanismi di protezione contro le minacce dell’esistenza, e tende, come tanta letteratura dimostra (Musil, Kafka), a ridurre l’esistenza a una vera ossessione della difesa, giungendo così a perderla. I ricchi si difendono più dei poveri, gli adulti più dei giovani, i nordici più dei meridionali. I bambini e gli innamorati invece non si proteggono affatto: si abbarbicano gli uni agli altri, si toccano, si abbracciano, si baciano, si assaggiano, si espongono, si aprono, se ne fregano perché non conoscono meccanismi di difesa e non capiscono il significato della parola diffidenza. Bambini e amanti non sentono ragioni.

La cosa più inspiegabile, poi, è la paura di contagiarsi del male di vivere degli altri. Lo sanno bene i depressi e tutti coloro che in un modo o nell’altro fanno esperienza del disagio psicologico. Dopo un po’ scappano tutti, anzi, più che scappare cominciano lentamente a indietreggiare finché non li si vede più. In giro ci sono milioni di individui vittime di superstizione: non è raro ascoltare discorsi di persone convinte che dalla tristezza e dal malessere interiore di un altro scaturiscano energie negative da cui è il caso di proteggersi. Un depresso dovrebbe tenersi alla larga perché la sua tristezza potrebbe diventare contagiosa, come se gli uscisse dai pori e dal fiato spargendosi nell’aria intorno e ammorbando i felici. Si tratta in questo caso di difendersi da qualcosa che è invisibile ma non meno spaventoso di un virus, di un batterio, di una peste qualunque. Non è solo il contatto con la pelle dell’altro che bisogna evitare, si tratta di scansare soprattutto le parole che può pronunciare. Stai male? Soffri di attacchi di panico, di melanconia, hai un’ossessione? Fai pure, ma non sfiorare me con i tuoi argomenti, non raccontarmi nulla, non si sa mai: potresti influenzarmi. Sciò.

 

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