Immigrazione: il nord europeo è salvo

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Immigrazione: il nord europeo è salvo. L’Unione Europea col regolamento di Dublino ha stabilito che tutti i problemi relativi alle migrazioni li debbano risolvere le nazioni nelle quali l’immigrato arriva. Gli altri sono esonerati, la questione non li riguarda. Guarda caso, i paesi più facilmente raggiungibili stanno al sud, e sono l’Italia e la Grecia. Le domande d’asilo di un immigrato che giunge stremato sulle nostre coste non possono essere inoltrate ad altri Stati: spesso chi arriva qui da noi desidera trasferirsi altrove, dove l’accoglienza è migliore e soprattutto le opportunità di trovare lavoro sono maggiori. L’hanno chiamato asylum shopping, e non si può fare. Naturalmente questo significa semplicemente delegare il problema, lavarsene le mani voltandosi da un’altra parte ma non certo risolvere.

In questo periodo i flussi migratori stanno aumentando in maniera impressionante soprattutto in Grecia, che si trova al confine con la Turchia e che da terra e dal mare vede arrivare libici, iracheni, siriani e anche afghani che fuggono dalle guerre e dalle devastazioni. Rispetto all’anno scorso in Grecia i profughi (soprattutto siriani) sono aumentati del 143,5%. Sappiamo tutti quali sono le condizioni economiche in cui versa la Grecia. Dal 2011 al 2013 la UE ha dato alla sola Grecia 230 milioni di euro per evitare che i rifugiati si muovessero e s’inoltrassero nel continente. Amnesty International ha denunciato più volte i metodi adottati dal governo greco nei confronti dei migranti, metodi violenti, intimidatori, che non rispettano il diritto comunitario internazionale. Respingere, arrestare e maltrattare persone disperate che hanno bisogno di protezione non è umanamente accettabile e non è neanche razionale perché sortisce risultati temporanei, scarsissimi e non risolutivi. Filo spinato, muri, controlli alle frontiere non servono. Lo insegna la storia passata e lo vediamo nel presente. Gli uomini e le donne che scappano non sono emigrati a molla, col ritorno incorporato, li rimandano indietro e loro ritornano, e saranno sempre di più. Dunque è inutile che le destre nostrane ed europee continuino a parlare di respingimenti e di blocchi ai confini, anche perché chi arriva dal mare su imbarcazioni di fortuna o via terra viaggiando in condizioni bestiali e chiede aiuto deve essere soccorso e salvato, senza se e senza ma. Porsi qualche domanda coscienziosa e darsi delle risposte oneste riguardo alle politiche adottate perché i rifugiati diminuiscano piuttosto che aumentare non sarebbe male. Ci si nasconde comodamente dietro ai regolamenti oppure per acchiappare consensi si fa chiacchiericcio demagocico e talvolta razzista, ma nulla cambia.

Bisogna che di questo dramma globale si faccia carico la comunità internazionale, bisogna urgentemente e assolutamente che i paesi europei refrattari ad una revisione del regolamento di Dublino (Belgio, Gran Bretagna, Danimarca, Finlandia), quelli che non si mischiano e si spalleggiano l’uno con l’altro, subiscano pressioni e si facciano carico di quella che è già un’emergenza e che in un futuro prossimo diventerà catastrofe umanitaria. Una deputata italiana al Parlamento europeo, Cristina De Pietro, ha finalmente chiesto quella revisione del sistema di Dublino. I paesi membri dell’Osce (membri anche della UE) sono ben 57, è arrivato il momento per tutti di finirla con l’atteggiamento delle tre scimmiette – non vedo, non sento, non parlo – e di affrontare l’argomento, ormai non più prorogabile.

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