Gli uomini che uccidono le donne

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Gli uomini che uccidono le donne non sono criminali incalliti, spesso non sono neanche mai stati violenti. Quando si sono fidanzati e sposati a nessuno sarebbe venuto in mente il pensiero che un bel giorno sarebbero diventati assassini, men che meno lo avrebbero sospettato loro stessi. Eppure succede. Diventano prede di ossessioni inguaribili e si trasformano. Arrivano al punto in cui il progetto e l’atto di compiere un delitto per porre fine a un qualche opprimente assillo, a un’angoscia, a un problema insopportabile di cui non trovano la soluzione, gli regalino una specie di pace interiore, una concreta e insolita serenità.

Dev’essere come la sensazione che consola l’aspirante suicida quando dice a se stesso tanto mi ammazzo e tutto finisce, dev’essere qualcosa di simile a ciò che prova un ammalato quando gli dicono che con un intervento chirurgico guarirà completamente, dev’essere come quando davanti alla faccia disperata del tossico in astinenza qualcuno sventola una cartina dicendo sei a posto. Nel momento stesso in cui il gesto viene compiuto non vi è altro pensiero nella testa che non sia di liberazione. E’ terribile ma è certamente così. Si sta bene per un tempo brevissimo, pochi secondi, pochi minuti, ma si sta bene davvero come dopo aver sbrigato un’odiosa formalità: tutto il peggio sembra passato, davanti c’è solo un effimero nirvana.

Quando dopo l’ omicidio l’assassino si accorge che su di lui non si addensa alcun sospetto, il futuro sembra possibile, sgombro di nubi e di sensi di colpa, perfetto. Succede solo perché in seguito a uno stress prolungato ci si vuole rilassare. Quanto può durare? Un paio di settimane? Prima o poi arriva la certezza di aver perduto ogni rifugio di pace e di non avere nemmeno una carta stradale per trovarlo, un rifugio qualsiasi. E’ la fine. L’assassino – scoperto e arrestato oppure libero e insospettabile – passerà il suo tempo a chiedersi come abbia potuto credere che uccidere fosse una scelta di libertà piuttosto che l’incapacità a resistere a una tentazione oscena. Passerà il suo tempo a chiedersi se tutti i pensieri maligni e distruttivi che l’avevano accompagnato prima del delitto non fossero la spia di una malattia della psiche o peggio, di una coscienza abietta, avariata. Quelle domande a un certo punto non saranno più domande a cui bisogna rispondere, diventeranno semplicemente grumi di tormento, una febbre.

Che faccia hanno gli uomini che uccidono le mogli per rifarsi una vita con un’altra senza considerare il divorzio perché quello ha un prezzo? Perdere tutte le sicurezze economiche, spaccare in due una casa, assaggiare la miseria? Non sia mai, quando uno possiede una casa può già dire di essere qualcuno, no? Il divorzio impoverisce, non sia mai. E che faccia hanno gli uomini che uccidono le donne per gelosia? E quelli che non sopportano più di essersi fissati su una ragazzina al punto da non poter più dormire e allora decidono di agire, di prenderla, di eliminarla, che faccia hanno? Nessun segno particolare. Sono stati nutriti con biscotti vitaminizzati e vestiti con i migliori tessuti, sono stati coccolati e viziati in modo che credessero di essere tipi umani speciali. Hanno vissuto con questa convinzione finché qualcosa non s’è guastato dentro di loro, rovinando tutto l’edificio che custodiva la loro normalità  e tutte le regole: a quel punto è bastato un colpetto col dito per stenderli a terra, l’edificio e le regole, con un fatale effetto domino.

 

 

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