I bambini hanno diritto alle favole

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I bambini hanno diritto alle favole. Non lo sanno ma avrebbero proprio il sacrosanto diritto di pretendere che qualche adulto si mettesse vicino a loro di tanto in tanto e gli raccontasse storie, un pò inventate e un pò vere. Niente immagini, solo voce. Perché adesso che di immagini ne vedono a milioni, i bambini, non lavorano troppo di fantasia. Quand’ero piccola mia madre ogni giorno ficcava nella nostra testa una caterva di giochi di prestigio della parola e dell’immaginazione, ci rimpinzava anche di storie mitologiche, sulla carta disegnava e poi ritagliava personaggi, case, alberi, li sistemava sul tavolo grande e ci invitava a dare vita a quei pezzi di carta. Era una donna con qualcosa di bambinesco dentro, meravigliosa. Aveva tempo, ma quando non l’aveva si inventava anche quello, se lo ritagliava tra un impegno fuori casa e la preparazione di un pranzo. Credo che all’inizio la sua necessità di raccontare superasse di gran lunga la nostra disposizione all’ascolto. Col tempo non riuscimmo più a fare a meno di quelle pause. Erano la parte più importante della nostra vita di bambini.

Mi piace credere che anche adesso nelle case ci sono degli adulti narratori e dei bambini in grado di capire che ascoltare è molto meglio che vedere. Quando un piccolo ascolta una favola i suoi occhi si fanno grandi grandi, guardano nel vuoto: sta creando le scene, dà un volto ai personaggi, e se la voce narrante descrive una caduta o un ruzzolone lui ride perché lo sta vedendo, proprio davanti a sé, il tizio panciuto che rotola per terra. C’è qualcuno che lo fa ancora, questo enorme favore ai bambini tecnologici? Magari uno zio bonario con la faccia da marinaio in grado di inventarsi luoghi impossibili e di farci entrare i nipoti a poco a poco. Uno a cui credere per un’ora, uno che scavi l’oscurità e parli ancora di orchi e di fate, roba che serve la notte, quando a cinque o sei anni certe volte si ha paura – una paura reale – e si ha bisogno di una fantasia a cui attaccarsi.

Sono sicura che niente sia più educativo di un adulto narratore per chi deve crescere stando su una terra che non offre grandi complicità, non incanta facilmente e certe volte spaventa soltanto. E’ il modo migliore per arrivare gradualmente a sentire il desiderio di leggere libri. Se non ci insegnano il gusto per le storie sin da quando siamo ancora analfabeti non lo possiamo acquisire dopo. Voglio dire: un conto è comprare libri e leggerli, un altro conto è desiderarli come fossero acqua, pane, aria. Credo che la tendenza sia piuttosto quella di portarli in giro tutto il giorno, i bambini. Dopo la scuola lo sport, dopo lo sport la lezione d’inglese, e se non è l’inglese c’è qualcos’altro che li deve tenere impegnati. Per non sentire mai la solitudine, per non pensare, per non oziare. Se sapessimo quanto è utile l’ozio, star lì a strizzare gli occhi e a lisciarsi le ciocche dei capelli: si fa economia di sciocchezze e di meschinità, ci si ristruttura, si sogna pure.

Bimbi le cui famiglie campano alla bell’e meglio con pochi soldi al mese la palestra e l’inglese se li sognano, in certe case c’è da pensare alle lampadine da spegnere, ai panni da stirare e ai buoni per la spesa, ma anche quei bambini hanno tutti un giochino elettronico o un pc su cui accanirsi. Tutti, anche quelli che stanno più in strada col pallone che a scuola. Li vedo: hanno la testa abbassata sulla loro tavoletta tecnologica e muovono i pollici seguendo un ritmo sincopato, la loro colonna sonora è il suono di un mortal combat, di un candy crash, di un clempad plus zeppo di app educative che ormai possono seguire l’essere umano dall’età prescolare fino al compimento degli 80 anni. La tara del dialogo si potrebbe trasmettere facilmente, è cosa da poco, se solo si volesse coltivare l’autentico lato umano, quella cosa semplice che è lo scambio tra anime e che è molto più importante del gruppo sanguigno. Troppi assedi da tutte le parti, troppe corse, troppi impegni. Allora hanno fatto i cd con le fiabe classiche, da Esopo a Rodari si può fare ascoltare ai propri figli di tutto. In certe città europee la mamma può comporre un numero di telefono, piazzare la cornetta accanto all’orecchio del pupo e una voce registrata comincia a raccontare. A questo punto diamogli un tablet che è meglio.

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