Vantaggi materiali

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Vantaggi materiali

Vantaggi materiali che in Italia a partire dagli anni ’50 e ’60  hanno raggiunto le masse della popolazione che non conoscevano il benessere né le comodità, hanno lentamente cambiato quella che una volta si chiamava classe operaia e i ceti contadini, che ora non esistono più come categoria sociale definita: gli agricoltori e i lavoratori dipendenti (gli ex appartenenti al proletariato) sono un ibrido che oscilla tra la dialettica dei sogni e dei bisogni – che generalmente conduce all’indebitamento progressivo – e la rivendicazione di diritti che la crisi globale ha intaccato.

Pier Paolo Pasolini considerava il consumismo come la causa principale della grande trasformazione del contesto culturale e politico italiano. Questo cambiamento ha omologato la società (videocrazia), mentre economicamente l’ha fatta crescere. La grande massa dei lavoratori ha potuto andare in vacanza, comprare una casa, televisori, computer, telefoni cellulari, automobili, frigoriferi, lavatrici, lavastoviglie, tutta merce che si deteriora e invecchia presto e che bisogna sostituire perché le tecnologie migliorano continuamente. Questo modello di società, che chiamerei società delle rate, partecipa a un processo ambivalente e ambiguo. Da una parte i beni di consumo garantiscono la pazienza delle persone e la sopportazione da parte loro delle disparità che si allargano e che vanno aumentando, dall’altra suscitano desideri che si trasformano in vere e proprie necessità : se non si possono più pagare mutuo e rate a causa della diminuzione del valore del denaro e della disoccupazione scatta la rabbia.

E’ una rabbia che proviene più dalla crescita delle necessità materiali che dalla consapevolezza di dover conquistare maggiore libertà individuale e più volontà di incidere sulla società adoperandosi per cambiarla, migliorarla. I governi sanno bene che solo l’irregolarità dei meccanismi economici (inflazione, disoccupazione, costo della vita, salari bassi, eccetera) determina il pericolo di una crisi politica profonda. Senza cognizione di causa i lavoratori sono completamente divisi, sono diventati individualisti e cercano disperatamente di riconquistarsi quella fetta di benessere che li ha equiparati, per molti aspetti, al ceto medio. L’aspirazione al benessere che si raggiunge solo attraverso la sicurezza di un lavoro è la prima causa della rabbia sociale, non c’è nessuna intenzione di mettere in discussione il sistema capitalistico e il liberismo, malgrado queste parole vengano pronunciate frequentemente. E’ una finzione: la ribellione, almeno in Italia, oggi è orizzontale e non verticale.  Le manifestazioni di piazza e gli scioperi a cui i lavoratori partecipano con foga sono del tutto diversi da quelli di quarant’anni fa, come diversi sono i sindacati, i quali hanno adottato da tempo una pratica riformistica che non riesce più a partorire idee e funzioni utili, né per le classi dirigenti né per i lavoratori. Tutto il retaggio ormai obsoleto della vera lotta di classe adesso si sta trasferendo verso le masse che appartengono alle etnie oppresse, ai migranti, che sono i veri poveri e i veri sfruttati della terra, i soli esseri umani che nessuno (prima di una settimana fa) voleva vedere e accogliere.

Il modo per superare la crisi prodotta dalla rottura dei vecchi equilibri fra continenti, classi sociali, sessi, etnie e fasce d’età potrebbe scaturire solo da una presa di coscienza generalizzata, il che significa che se non si comprende che individuo e collettività devono coincidere e interagire potremmo ritrovarci presto a scegliere noi stessi, per proteggerci dalla paura, un regime politico che si può denominare con un termine usato per la prima volta nel 2001 da Enzo Biagi : dittatura morbida. “Fare amare agli schiavi la loro schiavitù: ecco qual è il compito ora assegnato negli Stati totalitari ai ministeri della propaganda, ai caporedattori dei giornali e ai maestri di scuola“, diceva profeticamente Aldous Huxley.

 

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