Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte

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Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte

Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte contiene analisi molto interessanti, vale la pena di citare un passo in cui Marx spiega molto semplicemente cos’è il partito dell’ordine, che potrebbe somigliare a quello che oggi Renzi chiama Partito della Nazione. “Il partito dell’ordine s’era formato immediatamente dopo le giornate di giugno: […] la coalizione degli orleanisti e dei legittimisti in un unico partito. La classe borghese s’era scissa in due grandi frazioni, che alternativamente […] avevano sostenuto il monopolio del dominio. Borbone era il nome regio degli interessi dell’una, Orleans il nome regio per l’influenza preponderante degli interessi dell’altra frazione: il regno anonimo della repubblica era l’unico in cui ambedue le frazioni potessero sostenere, in equilibrio di dominio, il comune interesse di classe, senza rinunciare alla rivalità reciproca“. Le analogie con la situazione in cui versa l’Italia sono evidenti, basta sostituire Berlusconi o il centro-destra a Borbone e Renzi o il centro-sinistra a Orleans e il gioco è fatto. Marx adoperò uno schema teorico perfetto che si può ancora applicare alla politica contemporanea senza dimenticare la sua celebre frase: “Gli eventi storici si presentano due volte, la prima in veste di tragedia, la seconda in guisa di farsa.”

Che vuol dire capitalismo monopolistico di Stato e che significa in pratica oligarchia finanziaria? Controllo dello Stato. Attraverso  i mezzi di informazione concentrati nelle mani di gruppi potenti. Attraverso l’apparato amministrativo col quale si crea una circolazione e uno scambio di personaggi dall’amministrazione alle imprese e viceversa, una vera osmosi, soprattutto nel settore bancario ma non soltanto. Attraverso l’apparato politico, che un volta era legato all’industria (Fiat) e all’industria pesante e che oggi è più rappresentativo delle grandi banche d’affari, le quali a loro volta rappresentano i settori di punta dell’economia. In Italia nei primi anni ’90 si verificò quell’evento senza precedenti che fu l’ingresso di un ricchissimo imprenditore sulla scena politica, un caso simbolico, emblematico come pochi.

Fu proprio con il governo Berlusconi che cominciò a delinearsi una forma di democrazia monca: il potere era basato su una sola persona, non solo all’interno della coalizione che lui guidava ma anche nel Parlamento, che naturalmente dal punto di vista della rappresentatività cominciò a decadere, trasformandosi neanche troppo lentamente in una sorta di club degli amici dove confrontarsi, elaborare politiche comuni e imporle, gestire affari. I cambiamenti prodotti dal berlusconismo nella sovrastruttura politica erano il riflesso del suo potere economico. Il ruolo della sinistra per tutta la durata di quel periodo – che ha edificato le fondamenta per costruire l’oggi –  è stato caratterizzato da ambiguità, debolezza e sofferenza.

La continuità, garantita dal governo delle larghe intese e dalla recente leadership di Matteo Renzi, sta per essere di molto rafforzata e resa inattaccabile dalle riforme costituzionali e dal consolidamento del bipolarismo: due blocchi monolitici fortissimi e fintamente avversari, due corpi e una sola testa. Stavolta l’uomo solo al potere non deve salvaguardare i propri personali interessi economici ma quelli dei grandi gruppi finanziari, italiani ed europei. Ci conformiamo, con Renzi, ai diktat del capitalismo globale. Salvini, una macchina da guerra che crede alla metà delle cose che dice, fa parte del gioco: da una parte raccoglie i voti della protesta che rimpingueranno Forza Italia e una destra allo stremo, dall’altra servirà anche a Renzi, perché i riottosi e i delusi ex elettori del PD torneranno all’ovile per paura della Lega.

Si chiama voto utile dai tempi della DC, cambiano tutto per non cambiare niente. In questo teatro il movimento di Grillo e Casaleggio è stato utilissimo – volente o no – nel difficile periodo che ha preceduto l’arrivo di Renzi: ha rastrellato con grande maestria e a man bassa i voti di milioni di persone in piena crisi di rigetto che non ne potevano più della classe politica, li ha trattenuti fino a quando non si fosse delineata la stabilità della situazione politica e infine ha voluto lasciarli andare, perderli, lentamente ma inesorabilmente. Il sipario si chiude, ma i conti non tornano: probabilmente non sarà tra tre anni e neanche tra otto o dieci, ma l’elemento sorpresa salterà fuori da qualche parte, è inevitabile perché la Storia ce lo insegna.

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