Il male oscuro

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Il male oscuro

Nell’urgenza di difenderci dal terrorismo noi occidentali abbiamo sviluppato un’ossessione del controllo che non è razionale. 149 passeggeri affidati al delirio di un co-pilota apparentemente equilibrato sono morti probabilmente perché le verifiche sulla salute psicofisica dei piloti civili non sono rigide, non sono capillari, non sono abbastanza affidabili. Del resto Andreas Lubitz non è un caso isolato, già altri piloti prima di lui in passato si sono suicidati portandosi dietro le speranze, i desideri, i problemi e le vite di tante persone.

Il male oscuro: se lo chiamano così una ragione senz’altro c’è. Schiantarsi con l’aereo a causa di un disturbo psichico del pilota e non a causa di un’avaria o di un attentato è un’eventualità remota ma non impossibile. Andreas Lubitz era un ventottenne tedesco e lavorava con Germanwind dal 2013. Si era distinto come pilota per le sue eccellenti doti, e a sentire chi lo conosceva bene, nella vita privata era un ragazzo appagato, privo di problemi e dunque molto sereno. Aveva una bella casa, amici, un profilo Facebook simile a quello di qualunque giovane adulto positivo e semplice. Non è stato trovato niente – finora – che avesse a che fare col naufragio della ragione, con lo sfiancamento del malato, con le recriminazioni del frustrato, dell’amante respinto, del pària disinserito e disperato. Tutto nella sua esistenza rientrava nella cosiddetta e sbandierata norma, eppure Lubitz stava male.

Se i controlli psicofisici annuali sui piloti e sul personale dell’aviazione civile fossero settimanali, una tragedia come quella occorsa ai 149 passeggeri del volo Barcellona-Dusseldorf non si potrebbe scongiurare, avverrebbe ugualmente. Come stabilire con precisione se un uomo apparentemente equilibrato sta sviluppando o ha già sviluppato una sindrome depressiva? Con le analisi del sangue? No, oppure teoricamente si, ma le indagini approfondite e capillari sui livelli di serotonina, noradrenalina, dopamina, acetilcolina eccetera di solito si rendono necessarie solo dopo che un soggetto abbia manifestato sintomi di disagio. Poiché altri piloti prima di Lubitz si sono suicidati in volo coinvolgendo chi aveva avuto la sventura di salire in aereo insieme a loro, mi pare che da ora in poi si debba riflettere sulle modalità con cui si effettuano le visite ai piloti. Non basta controllarli più spesso, serve assolutamente maggiore accuratezza e molta pignoleria. Direi che l’ossessione del controllo anti-terrorismo abbia distratto troppo tutti dall’essere altrettanto rigorosi in altri settori.

Normalmente un pilota civile durante il controllo medico di routine risponde alle domande di un accurato test psicologico. Un depresso non manca affatto di lucidità: può mentire, simulare, proteggere un pensiero fisso o una manìa per mesi senza che nessuno se ne accorga, né con un quiz clinico ricco di trabocchetti né con un colloquio sollecitato da un gruppo di medici. Dev’essere stato così che Andreas Lubitz ha ingannato tutti fingendo di sentirsi bene mentre coltivava un proposito che si sarebbe attuato solo al momento giusto. Qual’è il momento giusto per suicidarsi trascinando con sé altri esseri umani? Lo stabilisce l’intensità del delirio, ma non solo: Andreas Lubitz ha aspettato pazientemente che tutte le circostanze fossero a suo favore. Qualcuno crede alla tesi che sta circolando in queste ore sull’improvviso raptus del co-pilota? Ci pensava da chissà quanto, coccolava l’idea, e desiderava di avere l’opportunità di rimanere da solo in cabina di pilotaggio, così come infine è avvenuto disgraziatamente due giorni fa nel momento in cui il comandante si è allontanato per recarsi in bagno. Una cosa normale, certo, ma che non sempre si verifica durante i voli brevi, e che non sempre si verifica proprio poco prima di sorvolare un gruppo montuoso, un luogo isolato e impervio perfetto per andare a schiantarsi.

Le nostre paure sono aumentate nel corso dei secoli: man mano che la conoscenza e la scienza e la tecnologia progredivano, l’ansia del pericolo piuttosto che scemare è cresciuta. Perché? Perché se sappiamo tutto – anche ciò che non vorremmo sapere e capire – diminuisce la nostra capacità di avere fiducia negli altri. Viviamo costantemente oppressi dal timore di un attentato terroristico, eppure razionalmente si tratta di un’evenienza molto rara. La maggioranza di noi subito dopo lo schianto dell’aereo sulle Alpi Provenzali ha immediatamente immaginato che si trattasse di un atto terroristico. Adesso che conosciamo la verità ci sentiamo in fondo rassicurati. Durerà poco: la stampa internazionale continuerà a diffondere la paura del terrorismo e noi continueremo a credere, come facciamo dal lontano11 settembre, che nella nostra società avanzata e moderna si possa morire più facilmente di terrorismo che d’altro.

Post scriptum: le ultime notizie ci informano che Lubitz in passato avesse sofferto di depressione interrompendo l’addestramento da pilota. Curatosi, era tornato a fare il pilota. Guarito?

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