Il terrorismo a Parigi

Share

Il terrorismo a Parigi

I fatti di Parigi hanno dato la stura a un’autocelebrazione trionfalistica del nostro sistema democratico occidentale, baluardo del bene contro il male. Separare i terroristi cattivi dall’islam buono non serve a risolvere l’equivoco: il terrorismo è ideologico e politico, la sua matrice religiosa è un comodo paravento, una scusa buona per loro e buona per noi.

Il terrorismo a Parigi – non solo per ragioni fortemente emotive – restringe il nostro campo visivo fino a comprimere ogni analisi su quegli avvenimenti in una sorta di slogan, che come tutti gli slogan rischia di diventare culturalmente mostruoso ed esteticamente bello (le piazze gremite, le candele, le matite), proprio come uno spot pubblicitario. In maniera prepotentemente manichea si cancella dalle coscienze il fatto che la libertà di espressione in Europa latita da tempo in favore del pensiero unico e contemporaneamente si esclude da ogni dibattito tutto ciò che non fa riferimento alla contrapposizione tra la nostra civiltà e la barbarie altrui.

Il problema del dominio monopolare del mondo viene completamente messo da parte a favore della forte dualità simbolica tra due culture, a favore di una dialettica basata sulla contrapposizione tra Nord e Sud del mondo. Il primo equivoco che lo slogan je suis Charlie maschera è l’ insistenza sulla libertà di espressione di cui stiamo riempiendoci bocca e orecchie da giorni. A prescindere dal fatto che tutta questa libertà di opinioni e di stampa è molto più millantata che reale, stiamo difendendo i nostri diritti inalienabili dimenticandoci completamente che alla metà del mondo quegli stessi diritti non sono mai stati concessi. Per tentare di assaporarne il piacere in tanti devono scappare dalle loro terre e venire in occidente, in Europa.

I fatti di Parigi hanno dato la stura a un’autocelebrazione trionfalistica del nostro sistema democratico occidentale, baluardo del bene contro il male. Alla demonizzazione del mondo arabo si risponde “da sinistra” cercando di relativizzare, affermando con forza che una cosa sono i terroristi e un’altra cosa è l’islam, ma ci si ferma qui, non si va oltre e in tal modo si ignora completamente la storia e il ruolo preponderante che noi occidentali abbiamo avuto nel conseguimento dei risultati disastrosi che sono sotto i nostri occhi, e arrivando così ad alimentare il secondo equivoco scaturito dallo slogan je suis Charlie, ben più grave del primo: ritenere, semplificando, che i terroristi fossero davvero mossi dal fanatismo religioso. Il loro spregevole atto è politico ed ideologico, non nasce dal bisogno di vendicare un’offesa ai credenti, e basta dare un’occhiata alle loro abitudini di vita (del tutto simili alle nostre) per capire che fossero ben lontani dall’osservare i precetti del Corano che neanche avevano letto.

Questi giovani sono cresciuti in Francia, i loro genitori prima di loro abitavano già in Francia, nella orribile banlieue parigina che a tutto serve tranne che a favorire l’integrazione e a dare a coloro che vi abitano la sensazione di far parte di una comunità unita. Se li facciamo stare nei ghetti non possiamo aspettarci che ci amino. Prima o poi incontrano qualche cattivo maestro che gli mette la pulce nell’orecchio e gli racconta la storia dal suo punto di vista, rivoltandoli come calzini. E’ lo stesso discorso che si può fare a proposito delle nostre periferie più degradate, dominate da boss e capetti e nelle quali l’esclusione dalla partecipazione attiva alla società civile è automatica. Nessuna “sinistra” e nessuna politica è stata più in grado di arrivare a stabilire un dialogo con gli esclusi e con quella parte della società che è a rischio.

Noi stiamo negando il peso dell’esistenza di tanti piccoli e annosi olocausti di cui siamo corresponsabili, non perché siamo cattivi ma perché le nostre scelte si sono rivelate sbagliate piuttosto che proficue e salvifiche. Tutto quel che è necessario fare e dire non verrà fatto e non si vuole dire: metterci a discutere di ridistribuzione della ricchezza e progettare un mutamento necessario nelle feroci e fallimentari politiche che vengono perseguite senza dubbi né ripensamenti. Ci vuole uno sforzo importante e deciso per placare dolore, rabbia e frustrazioni, tre sentimenti che nel cuore, nello stomaco e nella testa degli esseri umani esclusi si trasformano facilmente in odio, muovono la sete di vendetta. Chi non ha pace non porta pace, chi si sente sottomesso cova rancore e non perdona.

[contact-form-7 404 "Not Found"]

Share
Precedente Erri De Luca né mandante né mandato Successivo I giornalisti palestinesi valgono meno