In morte di uomini qualunque

Share

In morte di uomini qualunque

Gli accertamenti fiscali spesso sono arbitrari e addirittura non leciti: si è saputo che 750 funzionari dell’Agenzia delle Entrate non fossero autorizzati a intervenire, eppure lo hanno fatto, mettendo in grave difficoltà cittadini onesti. Dei suicidi degli uomini qualunque che vivevano del proprio mestiere e non hanno potuto liberarsi dalla morsa del fisco non si parla più, fa tanto gufo e non è cool.

In morte di uomini qualunque, di quelli che non sono poveri ma neanche benestanti, di quelli che hanno vite sciape, forse, ma buone, con una strada davanti che è dritta ma di questi tempi è proprio difficile mantenere la rotta, ci vuole la determinazione di chi ha pelo sullo stomaco e anche strafottenza. Si vede che il giornalaio delle mie zie non possedeva né l’una né l’altra “qualità”, perché m’hanno detto che si è suicidato. Hanno detto “il nostro giornalaio”: certo, il giornalaio si sceglie come si scelgono gli amici, e deve stare vicino casa o vicino al posto di lavoro, e deve essere sempre lo stesso, fidato, semi-eterno, che poi quando invecchia arriva il figlio e la dinastia dei custodi di notizie, dispense e cianfrusaglie per bambini è salva. Invece quello delle mie zie s’è impiccato quando non ce l’ha fatta più a reggere la battaglia impari con l’Agenzia delle Entrate. S’è invischiato in una palude, deve aver finto che tutto fosse normale, anche la domenica, deve aver girato in tondo per uno, due anni, ha preso tempo, poi ha cominciato a nascondersi in quei posti bui e asfissianti da clandestini, senza sonno come in una febbre e senza soluzioni, finché non gli è rimasto che andarsene per salvare le tre stanze più accessori dove abitava con la famiglia. E’ questo che fanno centinaia di uomini qualunque che un lavoro ce l’avevano e che a un certo punto sono finiti a testa in giù nella rete della verifica fiscale, dell’ingiunzione, dei pagherò, delle tasse sempre più alte, della crisi di questo e quell’altro settore. Non so cosa possa aver rubato allo Stato un edicolante, o quel bravo tappezziere nautico che faceva le cuscinerie delle barche dei signori, e lo conoscevano tutti a Mergellina: la bottega sempre uguale, bruttina, faceva parte del panorama. Era vecchio, e si è tolto di mezzo per neanche 50 mila euro che Equitalia esigeva. Equitalia è il portiere per l’inferno di tanta gente perbene. Una volta che si finisce in una storia così tutto sembra lontano e si perde la pace. A pensarci – dal di fuori – non vale la pena d’ammazzarsi per denaro, e poi se si va più a fondo si capisce che si tratta d’altro: di dignità, di senso del fallimento, di paura, della vergogna di non poter mantenere né gli impegni né la stessa posizione eretta davanti a tutti, ai figli come alle finestre del palazzo di fronte, che guardano senza vedere. A me fa rabbia che a finire male siano sempre gli stessi, quelli che a volte non sono neppure evasori ma che non riescono a dimostrarlo, gli uomini qualunque, e che invece certe facce da impuniti si sentano sempre a casa, tranquilli, perché loro se arriva un controllo patteggiano e poi si sanno muovere bene, mica da fessi. Sono retorica? Tanto piacere, parlare di ingiustizie è sempre noioso, scontato e retorico, come la commozione e l’incredulità delle mie zie.

Share
Precedente Per il M5S la recita è sempre uguale Successivo American way of life