Più invecchiano e più si spogliano

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Daniela Santanché in minigonna ai Ciak d'Oro 2014

  • Più invecchiano e più si spogliano

Il mito dell’eterna giovinezza ha creato un corto circuito, un equivoco nel quale proprio le donne sono andate a cascare in pieno. E ci sono cascate quando non ce ne sarebbe più bisogno.

Più invecchiano e più si spogliano. C’è un tempo per tutto, c’è anche un tempo giusto per spargere intorno a sé un’eleganza, un fascino e una bellezza che non hanno bisogno del corredo di un abbigliamento super sexy, un tempo in cui la maturità ha un suo codice erotico ed estetico diverso da quello che appartiene alle ventenni e che è altrettanto piacevole, altrettanto prezioso. Le donne invece, passati i 50 anni, continuano oppure cominciano a mostrare volentieri il corpo, anche quelle che non l’avevano mai fatto prima. Non importa che siano famose o persone comuni, non importa che lavoro facciano, ormai anche le maestre di scuola piuttosto che le signore della politica amano ammiccare, inguainare e scoprire il loro corpo ben tenuto, le gambe perfette, il seno sodo. Come fosse un’arma, un valore aggiunto primario. Chi di noi non incontra almeno una volta al giorno madri di ragazze diciottenni che vanno in giro svestite esattamente come le figlie? Questo non è indice di una nuova consapevolezza di sé e non è nemmeno la conseguenza di uno stile di vita diverso grazie al quale le cinquantenni ormai non hanno granché da invidiare alle trentenni. Questo è sintomo di conformismo e soprattutto di una grande insicurezza che neanche le lotte e le conquiste sociali hanno potuto vincere.

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  • Sofia Loren a settantacinque anni

Il corpo è diventato allo stesso tempo contenitore e contenuto. Non solo, in molti casi siamo tornati spaventosamente indietro, a quando l’avvenenza era usata come il miglior mezzo per farsi apprezzare (e questo riguarda anche le giovanissime). Vedere donne belle in età da menopausa dimostrare tanta debolezza di fronte al tempo e poi sentirle spacciare questa debolezza per una conquista fa un pò tristezza. Conquista di cosa? Al massimo si tratta di sottomissione a un cliché preconfezionato e sottratto a qualunque dinamismo, a ogni correzione dialettica. La nuova forma della coscienza di sé per la donna emancipata è una deformazione culturale che compensa un’angoscia profonda. Il mito dell’eterna giovinezza ha creato un corto circuito, un equivoco nel quale proprio le donne sono andate a cascare in pieno. E ci sono cascate quando non ce ne sarebbe più bisogno, in un momento storico in cui ogni cambiamento in seno alla struttura della famiglia e della società è avvenuto senza dubbio per mano femminile. Il diritto-dovere di aver cura di sé e di migliorarsi non ha niente a che fare con la manìa di presentarsi come bombe del sesso anche fuori tempo massimo.

Ogni progresso verso la parità dei sessi paga il dazio della feticizzazione della forma fisica, come se si temesse che a non esporsi come soggetto-oggetto erotico quando si è adulte e nonne si potesse improvvisamente perdere la postazione conquistata, la visibilità, l’attenzione degli altri. Il bisogno di non avere inibizioni ma anzi di sfrondarle man mano che si invecchia, il bisogno di far sapere quanto sia ancora sodo un sedere che ha ottanta lustri rivela che l’interiorizzazione di certi modelli e della sottocultura dell’estetica come merce è un freno al raggiungimento di una vera identità per le donne: come individui finalmente forti, non come vittime della società dei consumi.

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