La nuova moda si chiama Gomorra

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La nuova moda si chiama Gomorra

Ho visto che da Irene Bignardi si è definitivamente consolidata una moda, il prêt-à-porter Gomorra, eccitante e trasgressivo, e ho visto che ciò che una volta era grave e accorata denuncia oggi è una farsa di cui con un po’ di buona volontà e di onestà ci si potrebbe perfino vergognare.

La nuova moda si chiama Gomorra. Ho perso un’ora del mio tempo mercoledì scorso per assistere all’intervista di Daria Bignardi a uno degli attori più amati di Gomorra la serie: più si continua a incensare senza se e senza ma una delle produzioni commerciali più famose al mondo e più mi convinco che il risultato di tale operazione è un disastro dal punto di vista sociale e culturale, la pericolosa e volgare trasposizione di un buon libro ad uso e consumo delle famiglie. Della camorra e della mafia bisogna parlarne, eccome, ma è necessario evitarne l’esaltazione ed è un obbligo evitarne la spettacolarizzazione effimera che finisce col farci perdere il senso delle cose.

Ho visto che da Bignardi si è definitivamente consolidata una moda, la moda prêt-à-porter di Gomorra, eccitante e trasgressiva, e ho visto che ciò che una volta era grave e accorata denuncia oggi è solo una farsa di cui con un po’ di buona volontà e di onestà ci si potrebbe perfino vergognare. Ho visto un camorrista diventare un eroe alle Invasioni barbariche. Il bravissimo attore Marco D’Amore – interprete del personaggio di Ciro nella fiction – durante la chiacchierata con la Bignardi spiega ai telespettatori che Ciro è il male assoluto ma che questo male assoluto nasce dall’amore. Si, la crudeltà e l’efferata violenza del camorrista hanno una giustificazione: Ciro non è cattivo per caso, è diventato com’è perché gli hanno ammazzato il migliore amico. Dunque, secondo le parole usate dall’attore, “molte motivazioni spingono un essere umano a disumanizzarsi”, e Ciro è mosso da sentimenti “profondissimi”, “alti, forti, potentissimi. Un messaggio che si commenta da solo.

Chiedo scusa per i superlativi, ma è l’attore ad utilizzarli e io riporto le sue espressioni. Ciro, sempre secondo l’appassionato D’Amore, è un eroe negativo, ma è pur sempre un eroe, ha uno scopo da raggiungere, e “letterariamente parlando ha un progetto, delle difficoltà, un obiettivo”. Durante l’intervista barbarica (si fa per dire, non c’è una sola domanda imbarazzante) compare anche Saviano in collegamento da New York, il nuovo Saviano post-fiction che saluta l’attore dandogli del “gemello”, e si prosegue scherzando molto: la Bignardi a un certo punto inforca un paio di vistosi occhiali da sole con montatura animalier e domanda a D’Amore se così addobbata è abbastanza selvaggia, abbastanza da poter somigliare a Imma la leonessa, la moglie del boss Savastano. Non manca la gag sul calice offerto dalla padrona di casa a D’Amore-Ciro, un calice contenente un liquido giallognolo proprio come quello che nella fiction Savastano offre a Ciro obbligandolo a bere la sua urina. “Bevi”, dice la Bignardi, e D’Amore-Ciro beve tra le risate del pubblico. Segue l’altra inflazionatissima citazione “stai senza penziere” che soprattutto in Campania è diventata un tormentone per molti amanti della serie.

C’è tanta gente che ha apprezzato la serie Gomorra a modo proprio, che adora e imita esteticamente i personaggi mostruosi di Gomorra la serie, e che si diverte a emularne il linguaggio, proprio come fa Saviano con i Jackal e come fa la Bignardi con Marco D’Amore. Del resto lo ha detto chiaramente proprio Roberto Saviano che ridere della camorra va benissimo, arrampicandosi sugli specchi per tentare di offrire la propria visione intellettualistica degli effetti della fiction sui telespettatori italiani. Non si prevedeva che una terribile piaga sociale si sarebbe ridotta a uno spettacolo terra-terra sfuggendo di mano a tutti : il potere e il fascino della fiction sono i soli vincitori. Non ci resta che ridere, è il solo mezzo che ci è rimasto per reagire alla criminalità organizzata, per detestarla, per evitare che continui ad accrescere i suoi poteri. Ridiamo delle mafie, siamo gentili e indulgenti verso le società di produzione cinematografica che intrattengono rapporti coi boss campani e affittano le loro ville dando un buon esempio ai cittadini, ridiamo dei soprusi elargiti a puntate, della bestialità patinata, degli eroi negativi che però sono fighissimi e hanno occhi di fuoco di cui le ragazze sono perdutamente innamorate, ridiamo delle sparatorie e delle scene granguignolesche, ridiamo della Scampia dei caporione e ridiamo pure della Roma e della Milano degli intrallazzatori e dei ricattatori. Niente ci salva dall’ambiguità e dal degrado quanto la risata, e se non è vero pazienza. Ridiamo come la spiritosissima Bignardi, che quando Marco D’Amore è andato via ha accolto un’altra ospite, Simona Ventura, dicendole ammirata “Ma tu a Imma le fai un baffo”. No, la Ventura non se n’è andata via offesa, ha incassato quello che di questi tempi suona come un bel complimento, il migliore.

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