L’amore nel tempo della malattia

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L’amore nel tempo della malattia

 

L’amore nel tempo della malattia e della vecchiaia è il tema che Michael Haneke esplora nel suo ultimo bellissimo film, “Amour”, del 2012. Un film autoriale pluripremiato, vincitore lo scorso anno di un Oscar per il miglior film straniero e della Palma d’oro a Cannes, la cui struttura è sostanzialmente teatrale. Tutta la vicenda, eccetto una scena iniziale, si svolge all’interno di un vecchio appartamento parigino, nella casa di una coppia di anziani pensionati ex insegnanti di musica che sono sereni, che non soffrono di solitudine malgrado l’assenza della figlia (Isabelle Huppert) che abita a Londra e malgrado coltivino pochi e sporadici rapporti sociali. Jean Louis Trintignant ed Emmanuelle Riva interpretano con magistrale bravura due vecchi coniugi che  bastano a se stessi, che condividono la passione per i libri e per i concerti e che sono profondamente legati da un amore antico. L’amore coniugale miracoloso e reale che Haneke ci fa intuire è quello che sopravvive indenne alle stagioni, agli umori, alle sollecitazioni, ai litigi e alle tregue nel corso dei decenni solo in virtù del rispetto e della pazienza. Senza pazienza non c’è nessuna possibilità di sopravvivenza per l’ amore: uomini e donne sono naturalmente dominati dalle incomprensioni, quelle piccole e goffe disillusioni della vita quotidiana che solo la pazienza può trasfigurare fino a fare degli equivoci e delle differenze un collante in grado di resistere all’andare e al venire confuso che è la nostra vita.

La tranquillità dei protagonisti si spezza all’improvviso a causa della malattia. La donna, colpita da ictus, dipende ormai completamente dal marito, ha bisogno delle sue cure e questo la fa soffrire. Se all’inizio del film la Riva conserva nel volto e negli occhi lo stupore e la vitalità degli adolescenti, quando la malattia irrompe lo sguardo è quello del disincanto, ogni giorno nutrito dalla consapevolezza del declino senza ritorno. Trintignant la protegge, la accudisce, la sopporta e la capisce. ha tanta paura quanta ne ha lei.

Per lo spettatore prima o poi arriva il momento dell’imbarazzo, perché Haneke è sfrontato, fino al punto da dare l’impressione di essere entrato di nascosto con la cinepresa nella casa di una coppia reale, e chi guarda pensa di spiare e di violare l’intimità di una casa vera, ne sente l’odore, più va avanti a spiare e più si spaventa perché non sa dove riporre tutta quella ingombrante verità che ha davanti. La verità sulla vecchiaia Haneke ce la dice senza mezzi termini, ce la serve con delicata spietatezza e con molto rigore. Di solito non si parla dei vecchi, né dell’ agghiacciante paura che entra nelle loro stanze quando la malattia viene a usurpare il posto alla quiete. Haneke non vuole raccontare il bello della vecchiaia, vuole dire le cose così come stanno.

Quando la donna regredisce al punto da non avere più neanche una voce, all’uomo non resta che una via di fuga, un modo per onorare tutto quel che c’è stato, per lasciare la testimonianza di un insopportabile disagio altrimenti inenarrabile. E quella via di fuga è una scelta d’amore.

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