Libera non lo è mai stata

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Libera non lo è mai stata, da adesso sarà ancora meno libera: l’informazione in Italia, col nuovo ddl sul reato di diffamazione, sarà sempre più intimorita e più imbavagliata. Si, va bene, hanno abolito il carcere per i giornalisti, ma hanno aumentato le sanzioni pecuniarie che spezzerebbero le gambe ai non ricchi, ai free lance, ai pubblicisti, all’informazione indipendente e libera sul web, in televisione e su carta stampata, oltre a far ragionare in termini di convenienza anche tutti i giornalisti professionisti che appartengono alle grosse testate: tutti si interrogherebbero sull’opportunità o meno di rendicontare un fatto se il rischio è, oltre alla multa salatissima, quello di dover accettare una rettifica del diffamato senza diritto a una controreplica. Praticamente qualunque giornalista, a seguito di una rettifica priva di commenti, risulterebbe sempre agli occhi dell’opinione pubblica un mentitore, una persona priva di scrupoli che ha offeso il buon nome di qualcuno.

Il conformismo è sempre brutto, ce n’è già troppo, ma se anche le opinioni diventano ingiurie e diffamazione l’informazione non può non impoverirsi e non appiattirsi ancora di più. Se si intendeva punire coloro che a mezzo stampa o su internet usano le notizie false per fare scandalo e per suscitare interesse si doveva pensare il ddl in una maniera diversa: così com’è colpisce indistintamente tutti, si colpisce la libertà di riportare le notizie scomode, si colpisce potenzialmente la ricerca della verità, la voglia di esprimere un dubbio, di sottolineare particolari scabrosi o azioni scorrette. Non si può sottomettere l’informazione alla severità di una legge che non è lucida perché non si preoccupa di tutelare chi fa informazione, piuttosto previene l’informatore dall’intraprendere la via più scomoda se vuole stare tranquillo e lo induce a  percorrere quella indicata dalla cultura dominante.

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