L’Italia di Genny ‘a carogna

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Fiorentina-Napoli, "Genny 'a carogna": il capo ultras che ha dato il via libera alla partita

L’Italia di Genny ‘a carogna non si sente parte di una collettività con la quale condividere un sistema di credenze e di valori, è un’Italia decentralizzata, costituita da cittadini che non sono mai stati sfiorati dalla cultura della partecipazione, che con lo Stato e le istituzioni hanno soltanto rapporti di attrito e conflitti,  e che hanno sviluppato nel tempo una sottocultura funzionale alle esigenze dei gruppi a cui sentono di appartenere. Quei gruppi non hanno mai avvertito lo Stato come un’entità che potesse incidere sulle loro esistenze, come un’entità in grado di apportare benefici, aiuto, sostegno. Sono cittadini “altri”, stranieri in patria, tutti perennemente incazzati. Sarebbe un grave errore circoscrivere e confinare questa fetta di popolazione al sud o a Napoli: proprio il calcio con le sue tifoserie più estreme ci offre una visione molto dettagliata di un fenomeno che non ha confini, né regionali né nazionali, e non è recente, anzi è talmente vecchio che le sue radici sembrano ormai inestirpabili.

Le immagini della trattativa tra le forze dell’ordine e ‘a carogna hanno fatto il giro del mondo: la differenza tra noi e gli altri paesi è tutta in quegli interminabili minuti. Noi siamo i soli a concedere ai capi ultras un preciso ruolo sociale. Essi possono decidere, minacciare, influenzare, stabilizzare, proteggere o insorgere. Che siano affiliati di una cosca o meno, con il gesto di una mano garantiscono l’ordine pubblico oppure scatenano l’inferno dentro e fuori gli stadi.

Adesso appare quantomeno ipocrita e falso l’atteggiamento di stupore disgustato e di condanna : tutti sanno che il calcio funziona in questo modo, tutti sanno che certi personaggi gestiscono anche il nutrito sottobosco delle scommesse e che possono stabilire oppure conoscere in anticipo quale sarà il risultato di una partita, tutti sanno chi sono queste persone e sanno che le sanzioni e le leggi non vengono attuate, eppure si pretendeva, sabato, un rigurgito di dignità e una dimostrazione di supremazia da parte delle istituzioni. All’improvviso ‘na sera ‘e maggio? Cosa sarebbe accaduto all’Olimpico se lo Stato avesse tenuto un comportamento che non ha mai osservato? Trattare con Genny è stata una scelta obbligata, inutile girarci intorno. La congruenza tra istituzioni e capi ultras è funzionale in un sistema corrotto, così come è funzionale la congruenza annosa tra Stato e mafia.

Noi siamo un popolo in soggezione, è davvero ridicolo sentire il ministro o il giornalista urlare ogni volta sdegno e indignazione perché sappiamo e sanno benissimo che le cose non possono cambiare, né in una sera né a breve termine. La politica italiana ha una soglia altissima di tolleranza e di accettazione della devianza, sia a livelli “minori” (ultras) sia a livelli elevati. Non si può evitare di riproporre altri temi, come il caso Dell’Utri, ed accostarli alla vicenda della finale di coppa Italia. Non è un paragone azzardato, l’affinità esiste ed è etica e morale. La mafia ha trasformato la natura stessa della cultura politica, a tal punto che la cooperazione tra criminalità e istituzioni qui da noi è considerata normale, ineluttabile: se si facesse diversamente l’intero sistema, non solo economico, crollerebbe. Tutto questo è sconfortante e fa paura. Genny ‘a carogna non è il peggiore, è solo temporaneamente il capro espiatorio disperante di una realtà aberrata.

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