L’utero in affitto nella società dei consumi

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 L’utero in affitto nella società dei consumi

“Senonché è intervenuta la civiltà dei consumi, cioè un nuovo potere falsamente tollerante che ha rilanciato in scala enorme la coppia, privilegiandola di tutti i diritti del suo conformismo. A tale potere non interessa però una coppia creatrice di prole (proletaria) ma una coppia consumatrice.” Pier Paolo Pasolini

L’utero in affitto nella società dei consumi non custodisce bambini “di plastica” come ebbero a dire gli stilisti Dolce e Gabbana e non rende certo meno genitori i genitori per procura. Detto questo, c’è da discutere tanto sulla questione. C’è un mercato molto fiorente e in continua crescita che riguarda la genitorialità, che non è più solo un fatto biologico ma che diventa un servizio sociale. Intorno al mercato della surrogacy si sviluppa il mercato della donazione di ovuli, i quali vengono prodotti, importati, esportati. Sono due pratiche considerate generalmente come atti di generosità e di solidarietà da parte delle donne fertili nei riguardi delle coppie che non possono avere figli e che per questo soffrono e affrontano lunghe e vane cure nonché drammi personali prima di mettersi in viaggio per recarsi nei paesi che hanno legalizzato la maternità surrogata. La stragrande maggioranza delle coppie che pagano per ricorrere alle prestatrici di utero sono eterosessuali, una minoranza invece è costituita da singoli o da coppie omosessuali uomo/uomo, dato che alle coppie donna/donna basta ricevere un po’ di sperma per procreare, a meno che non si verifichi il caso in cui entrambe le donne siano affette da patologie di tipo ginecologico.

A prestare l’utero in tutto il mondo sono molto spesso ragazze giovani che versano in condizioni economiche difficili o disperate, e che hanno un livello di istruzione molto basso. Negli Stati uniti il mercato che riguarda gli ovuli invece è più articolato: tra le giovani donne donatrici vi sono anche molte persone appartenenti al ceto medio, laureande che non riescono a far fronte alle ingenti spese per mantenersi agli studi malgrado il supporto delle famiglie. Un anno di corso nella facoltà di una buona università americana costa dai 50 mila dollari in su, e oggi anche le famiglie della middle class hanno difficoltà a far quadrare i bilanci e a mettere da parte risparmi da destinare all’ istruzione dei figli. Ogni donazione frutta alla donatrice circa 8 mila dollari e per molte studentesse l’idea di aiutare qualcuno facendo uno sforzo minimo è accattivante, tanto più che le sollecitazioni all’altruismo non mancano: ve ne sono in televisione, sui giornali, ma anche sui muri degli atenei, dove è possibile vedere affissi cartelli pubblicitari che invitano a dare una mano a tante coppie senza figli. Lo sforzo in realtà non è minimo, e in certi casi è anche rischioso: nulla a che vedere con la donazione di sperma, per intenderci. Le donatrici assumono ormoni che bloccano il ciclo mestruale e che favoriscono la produzione di ovociti. I casi – seppure non frequenti – di ragazze che si sono ammalate di cancro e che hanno sofferto diverse patologie all’utero o alle ovaie dopo essersi sottoposte a queste “cure” non si possono nascondere né considerare trascurabili. Donare ovuli – intendiamoci – è encomiabile, è positivo, ma bisogna ricordare anche che non sempre il gesto è privo di conseguenze.

Come e perchè il mercato degli ovuli e quello della surrogacy siano strettamente collegati è presto detto: sovente la coppia che riceve una donazione di ovuli, per avere finalmente il bambino che desidera, deve andarsi a cercare un’altra ragazza che affitti il suo utero. Questa separazione di ruoli ha almeno tre motivazioni importanti: la prima serve a evitare che la surrogacy renda “troppo madre biologica” colei che partorisce dietro compenso, dunque è preferibile che gli ovociti provengano da un’estranea in modo da scongiurare ripensamenti e crisi alle prestatrici di pance. La seconda ragione è dovuta a una sorta di facilitazione della selezione: le prestatrici di utero possono essere indifferentemente di colore, bianche, asiatiche, non importa, dato che una volta escluso il loro patrimonio genetico esse partoriranno bimbi bianchi per chi è bianco, con gli occhi a mandorla per chi è giapponese eccetera, in base al patrimonio genetico dei donatori di ovociti e di sperma. Questa totale estraneità genetica favorisce anche il lavoro degli psicologi che supportano le prestatrici di utero durante la gravidanza e che si adoperano per 9 mesi a raggiungere nel modo più efficace quella che si definisce “disconnessione emotivadella gestante dal nascituro. La terza ragione è naturalmente il profitto: più l’iter è complesso (ovociti importati dagli States, utero reperito in Thailandia e “genitori” berlinesi o spagnoli), più chi se ne occupa guadagna. E i guadagni sono altissimi.

L’India, paese in cui l’utero in affitto è legale, dopo aver vietato la surrogacy alle coppie omosessuali e ai singles, tra breve vieterà la pratica a tutte le coppie straniere e la consentirà soltanto agli indiani. Ci sono motivi plausibili per considerare questo veto insufficiente oppure addirittura inutile perché in tutti gli Stati in cui la surrogacy è legale si è sviluppato un mercato nero parallelo e proprio in India esso è tra i più prosperi e pericolosi: le ragazze possono essere minorenni, possono subire vessazioni che le costringono a partorire per conto terzi numerose volte, non sono soggette a controlli sanitari né a garanzie di sorta. Purtroppo per spendere meno ed ottenere più velocemente ciò che desiderano, molte coppie non esitano a rivolgersi al mercato nero.

Tutelare con leggi severe e che siano valide in ogni Stato queste nuove “lavoratrici” o meglio dispensatrici di un “servizio sociale” sarebbe importante, tanto per cominciare. C’è chi vorrebbe vietare la surrogacy dovunque, vietarla e basta, senza se e senza ma: le femministe americane, australiane e soprattutto le donne svedesi lo chiedono a gran voce. Forse hanno ragione. Favorire e incrementare le adozioni rendendole più agevoli, veloci e razionali – sempre nel rispetto dei bambini – sarebbe la soluzione migliore. Scoraggiare le persone a fare a tutti i costi un figlio è la cosa più difficile: l’egoismo induce a pretendere di avere figli scelti con un certo criterio, magari utilizzando lo sperma di un premio Nobel o di un campione olimpionico, magari ricevendo ovociti di ragazze belle, sane, superintelligenti, con doti eccezionali. Non solo: l’egoismo induce a volere un figlio in fasce anche fuori tempo massimo, anche oltre i cinquant’anni, e si sa che il protocollo sulle adozioni prevede che alle coppie attempate si debbano affidare bambini già cresciuti.

In Italia la discussione sulla surrogacy è appannaggio delle destre, degli omofobi che non mancano mai di mettersi in mezzo, e soprattutto dei cattolici, oltranzisti o meno. Questo ha fatto sì che le femministe e in generale gli intellettuali e gli attivisti impegnati nel sociale affrontassero la questione in due modi sbagliati: o contrapponendosi ai critici con forza e ciecamente valorizzando solo gli aspetti positivi della surrogacy, oppure tacendo del tutto pur di evitare il “gemellaggio” con i bigotti e gli oscurantisti. Male, molto male, perché è necessario mettere da parte il conformismo tipico delle fazioni e unirsi al coro delle donne che altrove si ribellano alla mercificazione su commissione. Il tema coinvolge un’infinità di aspetti diversi – psicologicI, psichiatricI, filosoficI, medicI, scientificI – che andrebbero affrontati da un punto di vista rigorosamente laico. Fingere che la surrogacy sia semplicemente una meraviglia e una conquista è sciocco.

Quali principi di rispetto e di tutela della prestatrice di utero prendono in considerazione coloro che inneggiano a questa libertà? Non ci si rende conto che si tratta di deprivare la donna di senso? La surrogacy è sfruttamento bello e buono delle donne da parte di altre donne e da parte della società civile. Chi presta l’utero non gode neppure dei diritti elementari concessi dalla legge alle donne che in ospedale danno i loro neonati in adozione subito dopo il parto, per esempio un periodo di tempo per ripensarci e tornare sui propri passi. Quando si parla di surrogacy si mette al centro della scena la coppia etero oppure omo che è infelice senza figli, si esalta la parte altruistica della faccenda (che bontà, che umanità!), si considera l’utero in sé ma non si ha alcuna considerazione per chi l’utero lo presta: giovani donne che svolgono un ruolo passivo e totalmente alienante, anche se non c’è nessuno che le costringa con minacce. Questa “conquista” non ha niente a che vedere con concetti del tipo “il corpo è mio e me lo gestisco io”, è piuttosto l’esatto contrario. Lo scambio non è paritario. Per quanto si possa essere autodeterminate e preparate culturalmente di questo si tratta: di sfruttamento, di compravendita di parti del corpo umano femminile come se fossero pezzi staccati, come se essi non coinvolgessero la psiche, e come se tutta la letteratura sul legame madre-feto non fosse mai esistita. Il nascituro sente, sente la voce, il battito cardiaco, il respiro della gestante. Tutto questo non ha ripercussioni su di lui dopo la nascita? Ora non più? E chi lo dice? Tra l’altro ripetere che le prestatrici di pance sono persone bisognose di soldi, per una ragione o per l’altra, è fondamentale. In Brasile la surrogacy sta diventando una piaga sociale più che una buona cosa. Chi di noi crede che la maggioranza delle prestatrici di pance si impegni per la felicità di estranei?

Qui non si tratta di moralismo bigotto né di avallare un pensiero retrogrado: si tratta di difendere donne e bambini dall’essere delle merci. Questa è una nuova forma di svilimento del corpo femminile e del suo ruolo sociale, e piuttosto che al futuro ci riporta al passato, a quando le “femmine” erano solo riproduttrici. Si potrebbe parlare addirittura di una nuova forma di prostituzione. E’ assolutamente necessario che ci si interroghi tutti, che si cominci seriamente ad affrontare tutti i dubbi, perché i dubbi esistono e sono tantissimi. Valeria Bianchi Mian scrive in un bellissimo articolo  su psychiatryonline.it “La surrogacy appare, in parte, come una moderna collettiva Grande Isteria, nella quale il Vas alchemico è materializzato e lo spirito Mercurio è fuggito dalla bottiglia. La creazione del Filius in alambicco per sostenere il business delle grandi cliniche della fertilità può dirsi laboratorio di coscienza? Risulta difficile rispondere di sì. Tutto ciò non sembra proprio aver a che fare con lo sviluppo individuativo. Piuttosto, appare come ennesima attrazione del circo collettivo. La Regina incinta, il principio femminile con la propria qualità di rigenerazione, è inflazione incarnata non nella grande Madre ma nella Grande Macchina che comunque ha nome “Hyle” (materia)”.

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