Marguerite Duras, la regola della trasgressione

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“ Voi in fondo non siete ammalata. Voi state morendo di sfinimento, state morendo morta per aver troppo guardato il mondo. Morta per aver bevuto troppo whisky, vino rosso, vino bianco, ogni tipo di alcol, morta per aver fumato troppo, troppi pacchetti di Gitanes senza filtro, morta per aver troppo amato gli amanti, troppi tentativi d’amore, …. morta per le troppe collere contro le ingiustizie del mondo…..Morta per aver troppo mangiato, per non aver fatto attenzione a niente, lo stato selvaggio sempre, inventare qualcosa a ogni istante, rifiutare ciò che normalmente si fa, nella vita e nei libri. Morta per aver scritto troppo. Troppi libri.”

( Yann Andréa, Cet amour-là. )

 

sigaretta

Nel ’99, a tre anni dalla morte di Marguerite Duras, l’angelo Yann decide di raccontare l’amore che lo ha legato alla scrittrice per sedici anni. Forse non è solo un omaggio, un canto funebre : forse è un modo per liberarsi di lei, per guardarla dall’esterno, per ritrovare se stesso dopo una storia totalizzante che lo ha spossato. Sin da ragazzo Yann si innamora di lei, legge solo i suoi libri e li ricopia come per impadronirsene, o peggio, per diventare lei. Comincia a tempestarla di lettere, due, tre, quattro al giorno, fino a che la Duras, sessantaseienne, depressa e ammalata dopo un’ overdose di alcool e psicofarmaci, accetta di incontrarlo. Lui ha ventisette anni e da quel momento la curerà, l’amerà, le farà da segretario e da autista fino alla morte, comprendendola e rispettandola quanto nessuno aveva fatto prima di lui.

E’ difficile capire Marguerite Duras donna e scrittrice : nei suoi libri c’è tutta la sua vita, ci sono tutte le ambiguità e le bassezze , gli slanci e gli amori, gli ideali e la forza, il masochismo ed il sadismo, eppure nulla ci è chiaro. Rischieremmo sempre di scambiare per un segno preciso e decifrabile ciò che è una pura manifestazione di ambiguità o di irrealtà, e al contrario, di prendere per semplici pretesti, per dettagli senza interesse i simboli carichi di significati personali.

Leggendo uno dei suoi tanti romanzi, avremmo torto a cercare motivazioni  nascoste dietro alle parole vaghe o ai silenzi ; avremmo torto a voler scoprire i sentimenti dell’autrice dietro la strana opacità dei gesti delle sue eroine. Piuttosto, le cose che  si presentano sotto l’aspetto della pura contingenza, proprio quelle che siamo portati a considerare dettagli e pretesti, testimoniano l’universo segreto di Duras. Guardiamo il bambino che accompagna l’eroina in “ Moderato cantabile”, ne “I cavallini di Tarquinia”, in “ Le square”…Il bambino rappresenta la libertà, la salvazione e l’evasione. E il vino? Quel vino di cui non si sazia mai, l’alcool che ha “ la saveur anéantissante des lèvres inconnues d’un homme de la rue” : all’alcool i personaggi di tutti i suoi libri chiedono la stessa liberazione, lo stesso torpore e la stessa audacia che la scrittrice ha cercato sempre nell’ubriachezza. Un altro segnale presente nella sua narrativa è dato dagli incontri, spesso casuali, tra un uomo e una donna. Essi rappresentano la comunicazione umana primordiale, quasi mitica : il solo modo per sopportare la realtà, e forse per cambiare. Perché per Duras la vita, il mondo, la società, sono delle prigioni ; all’orizzonte passano immagini di libertà ( battelli, automobili ) , affianco c’è l’infanzia per riscattarsi , e a portata di mano l’alcool, che dà il coraggio di cercare un altro essere, di cercare l’amore. Ma è sempre un amore che non si compie, che non prende una forma piena, precisa: l’importante è l’attesa, il desiderio. La straordinaria acutezza dell’orecchio e dello sguardo, la straordinaria discrezione della scrittura illudono : Duras dice non dicendo, impone eludendo. Forma una specie di vuoto, di cavità, in cui tutto ciò che lei non descrive e non mostra si riversa inarrestabile, diviene prepotentemente evidente. Come una luce accecante ci lascia negli occhi una traccia di fuoco, Duras ci lascia nella mente una sottile scia fosforosa, che brucia.

Duras ha sempre obbedito all’impulso di “comporre “ un romanzo contemporaneo inquieto, impuro, in cui l’autore diventa storico, psicanalista e profeta. Col suo linguaggio che rifiuta la tranquillità del sapere, sembra volerci tendere i suoi fili d’Arianna ma poi li lascia cadere e ci abbandona nel labirinto, così come ha fatto con i suoi amanti. Il labirinto è in realtà una caverna di Platone, perché qui si diffondono,per ognuno di noi, le immagini del destino.

 

Per la Gallimard, Luise Adler ha scritto una biografia di Duras ( lei detestava i biografi) attraverso la quale crede di mostrarcela per ciò che è stata realmente. Naturalmente non mancano i riferimenti alle accuse di collaborazionismo coi tedeschi, né a quelle di aver denunciato e torturato un ex amante quand’era nella resistenza agli ordini di Mitterand. Ma a noi che l’amiamo, non interessano date e testimonianze, diari personali ed epistolari: abbiamo imparato da lei a distruggere le trame, a capire attraverso il silenzio, a non dare niente per scontato.

La scrittrice è stata anche sceneggiatrice teatrale e cinematografica ( “Hiroshima mon amour” il suo film più famoso e più riuscito)  , oltre che giornalista. Non ha mai rincorso il successo , che è arrivato subito ed è sempre cresciuto.

Forse non dovrebbe esistere una letteratura “ femminile” che si contrappone a quella “ maschile” , ma se esistesse, se si desse per scontato l’assunto che vuole le scrittrici più intimiste e morbide, Duras non troverebbe posto da nessuna parte. Profonda conoscitrice del piacere , descrive l’erotismo dal punto di vista di una donna con raffinata maestrìa, gli restituisce tutta la differenza negatagli  anche dalle donne ( i racconti erotici di Anais Nin, ad esempio, sembrano scritti da un uomo )  ma il suo stile è asciutto, essenziale, duro, severo, nudo. Ama le pause, le sospensioni, non ha pudori e sembra non temere l’ignoto. Non è “ magica “ ma metafisica , conosce la strada, la violenza, il vizio tanto quanto un uomo. E’ stata due volte madre ( il primo figlio morì ) ma non ha enfatizzato neanche questa esperienza, l’unica tangibile peculiarità rispetto all’uomo. Duras è una persona .

“ ….Esisteva il mondo degli imperativi, il mondo fatale, quello della specie considerata come fatalità, che era il futuro, luminoso e bruciante, fatto di canti e di grida, di una bellezza difficile, ma alla crudeltà del quale bisognava abituarsi…ed io vedevo nascere il mio futuro, il solo futuro possibile dell’esistenza, lo vedevo aprirsi con la musicalità, la purezza del movimento di un serpente, e mi sembrava che, quando l’avessi conosciuto, esso mi sarebbe apparso così, come un viluppo maestoso che avrebbe preso e ripreso la mia vita, conducendola verso la sua fine, attraverso sentieri di terrore, di estasi, senza riposo, senza fatica. “ ( Libera traduzione da «  Des journées entières dans les arbres » Gallimard )

 

 

 

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