Neanche il tempo di un sirtaki

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Neanche il tempo di un sirtaki

“I sedicenti tecnocrati europei sono come medici medievali che insistono nel salassare i loro pazienti — e quando il loro trattamento fa ammalare ancor di più i pazienti, essi chiedono di togliere ancora più sangue. Una vittoria del “Sì” in Grecia avrebbe condannato il paese ad altri anni di sofferenza nell’attuare politiche che non hanno funzionato e addirittura, come dice l’aritmetica, non possono funzionare: l’austerità probabilmente riduce il PIL più velocemente di quanto si riduce il debito, quindi tutta la sofferenza non serve a niente. La schiacciante vittoria del “no” offre almeno una possibilità di una via di fuga da questa trappola.” Paul Krugman

 

Neanche il tempo di un sirtaki, nemmeno una mezz’ora di innocente, liberatoria e umana gioia per la vittoria di un popolo stremato da anni di trattamenti shock e già si ricomincia col martirio del domani: le borse, lo spread, i falchi che esternano a metà tra la minaccia esplicita a cui ci hanno abituati e un possibilismo che sembra una presa in giro, come se stessero dicendo a Tsipras e ai greci “adesso vogliamo proprio vedere cosa ci verrete a chiedere”. Le dimissioni di Varoufakis hanno un doppio significato: una rinnovata disponibilità e soprattutto rettitudine e classe politica, quello che manca ai nostri rappresentanti e non solo. Dopo certe rivelazioni sulla colpevolezza dei tecnici della troika che la stampa ha diligentemente occultato, anche in Europa dovrebbe dimettersi qualcuno, come minimo la Lagarde. Chissà per quanto tempo ancora ascolteremo  i pareri di quelli fissati con la fine dell’euro, quelli fissati con la necessità delle riforme, quelli che continuano imperterriti a disprezzare il leader greco e a ritenerlo responsabile di disfunzioni e disastri di cui ancora non ha avuto il tempo di macchiarsi perché governa da 5 mesi e l’ultimo mese – giugno – non dovremmo neppure calcolarlo per la drammaticità e la pesantezza degli eventi a cui ha dovuto far fronte.

Qui chiacchieriamo, lì si fa la storia, e non si tratta di retorica: dopo questo 5 luglio 2015 comunque vada a finire nulla sarà più com’era prima in seno all’unione. Abbiamo tutti paura dell’ignoto, abbiamo anche paura – perché no? – per i nostri piccoli o grandi risparmi, questa è la sola giustificazione possibile per l’isteria collettiva di queste settimane e per la durezza con cui tanti hanno giudicato. Nessuno dei soloni che criticano Tsipras è disposto a fermarsi e a immaginare di essere nei suoi panni, non per 5 mesi ma per 5 minuti? Com’è stare alla guida di un paese disastrato e senza speranza, e com’è lottare contro un Moloch inamovibile, un’istituzione immensamente potente? Un uomo solo, sostenuto soltanto dal suo paese (e neanche tutto) ha avuto ed avrà ancora un coraggio che finora nessuno ha mai mostrato, ha cercato e sta cercando onestamente di ottenere dalla UE la democrazia che la UE non concederà mai, combatte per uscire da un’impasse che condurrebbe la Grecia alla disperazione perenne: che la mettano in condizioni di lasciare l’eurozona o meno, ciò che il “no” ha permesso a questo coraggioso paese è di cambiare. Cambiare, sissignori, andando via oppure restando nell’unione come tutti i greci desiderano, ma a condizione di non essere trattati né come cavie, né come carne da macello né come ospiti indesiderati. Questo è un risultato, questo è già qualcosa, diamine: è guardare avanti, è provarci. Anche per noi, nonostante Renzi. Bisogna riflettere sul fatto che per merito di Tsipras finalmente certi argomenti li affronta pure la sinistra, bisogna riflettere sul fatto che finalmente un poco di spazio alle destre estremiste d’Europa lo si è tolto. Fino a ieri le critiche alla UE – tutte giuste – le muoveva Marine Le Pen. Da noi se ne occupa la Lega. Il problema UE è trasversale, d’accordo, ma insomma che i moribondi e gli introversi della “rive gauche” si risveglino è solo un bene.

In queste ore l’élite degli economisti (e non solo) propende per l’eventualità di una Grexit. E’ molto probabile che razionalmente questa sia la soluzione migliore per la Grecia, ma bisogna vedere come e con quali accorgimenti il paese sarà messo nelle giuste condizioni di camminare sulle proprie gambe. Tsipras sa bene che la prospettiva della Grexit è vicina, ma continua a sperare di poter keynesianamente smuovere questa Europa e spingerla in una direzione diversa, più democratica e meno neoliberista, più equa e meno berlinocentrica. E’ un sognatore o un furbacchione? Per conto mio credo alla prima ipotesi, perché la Storia ci insegna che le innovazioni e le idee rivoluzionarie non nascono dai furbacchioni ma dai sognatori, e se sono un po’ pazzi è ancora meglio.

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