Perché tutti si fanno tatuare il corpo?

Share

Perché tutti si fanno tatuare il corpo?

Il tatuaggio oggi non si utilizza più per testimoniare di essere parte di un gruppo, al contrario – proprio ora che è diffusissimo – lo si utilizza per distinguersi dagli altri e per affermare la propria individualità. Un segno o tanti segni permanenti sul corpo sono mezzi attraverso i quali ci assumiamo davanti al mondo la responsabilità di aver scelto “per sempre”

Perché tutti si fanno tatuare il corpo? E’ una domanda retorica a cui è molto complicato rispondere. Se si parte dall’inizio e si arriva ai nostri tempi si può facilmente notare che tra un tatuato Maori, un occidentale nato nel 1850 e un tatuato contemporaneo non esiste nessuna motivazione causale che li possa accomunare. A meno che non si voglia semplificare tutto considerando il tatuaggio solo una decorazione estetica del proprio corpo.

Due parole sul passato: il tatuaggio è una pratica che risale addirittura all’età della pietra. In epoche diverse e in culture diverse, non in occidente, il tatuaggio è stato principalmente il simbolo che affermava inequivocabilmente l’ appartenenza a un gruppo, ma si usava anche per ragioni di superstizione, oppure come metodo di cura degli organi interni, inoltre aveva una funzione rituale ed era per alcuni popoli un omaggio agli dei. In Europa i primi tatuaggi arrivarono nel 1700, li diffuse James Cook di ritorno dai suoi lunghi viaggi nei mari del sud. La pratica del tatuaggio in tutto l’occidente è stata per moltissimo tempo utilizzata soltanto da determinate categorie sociali: marinai, avventurieri, carcerati, malavitosi, gruppi che si ponevano al di fuori rispetto alle convenzioni, al conformismo sociale e al contesto in cui vivevano. Tatuarsi immagini, simboli, storie, nomi e date sul corpo era una forma evidente di ribellione ed accomunava anche dal punto di vista “sentimentale” coloro che vi ricorrevano seguendo dei codici non scritti ma molto rigorosi. A questo proposito è davvero interessante ciò che ci racconta Nicolai Lilin sul significato profondo e addirittura politico del tatuaggio per la sua gente.

E adesso? Adesso prima di tutto bisogna sottolineare che rispetto al passato il tatuaggio non è più il tratto distintivo di un gruppo sociale o di un’etnia, né rappresenta qualcosa di trasgressivo. Al contrario, è un “gesto” individuale ed è una moda che si è affermata con prepotenza e che è stata accettata e seguita ben oltre la fascia d’età post-adolescenziale. Non si possono fare classifiche sull’uso del tatuaggio partendo dall’età o dal grado di istruzione, né dal sesso, né dalla “classe” economica di appartenenza. Basta guardarsi intorno, soprattutto adesso che siamo in estate, per rendersi conto che il tatuaggio è diventato un fenomeno di massa e di consumo.

Alessandra Lemma ha scritto un libro illuminante sul significato recondito del nostro desiderio di intervenire sul corpo e parla di una “economia psicotica” del nostro tempo che ha a che vedere col bisogno imprescindibile di farsi vedere e apprezzare dagli altri non solo attraverso i tatuaggi ma anche attraverso la chirurgia estetica.

Il tatuaggio oggi non si utilizza più per testimoniare di essere parte di un gruppo, al contrario – proprio ora che è diffusissimo – lo si utilizza per distinguersi dagli altri e per affermare la propria individualità. Un segno o tanti segni permanenti sul corpo sono mezzi attraverso i quali ci assumiamo davanti al mondo la responsabilità di aver scelto “per sempre” quel disegno in particolare, quell’ornamento tribale, quel preciso nome o quelle parole per raccontare al mondo chi siamo. E’ la necessità spesso inconsapevole e involontaria di portarsi addosso qualche cosa che non muta nel tempo. Cambiamo tutto, cambiamo famiglia, case, città, amici, amori, lavoro, e perdiamo per strada certezze e punti di riferimento. Anche il corpo cambia, ingrassa o smagrisce e ineluttabilmente invecchia per quanto ci diamo da fare : il tatuaggio no, è immutabile, immarcescibile, un antidoto a costo contenuto contro la paura di sparire, di non essere, oppure di morire.

Share
Precedente Sul piccolo schermo si cucina tutto il giorno Successivo Che facciamo, buttiamo carta e penna?