Il piccolo commercio non regge

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Il piccolo commercio non regge la crisi e abbassa le saracinesche. Non solo in Italia. Negli Stati Uniti il governo ha dato il via a una campagna per invogliare le persone a comprare nei negozi e nelle botteghe, schiacciati tra due giganti: centri commerciali e internet. Da noi una campagna del genere non la fanno, e sbagliano. A tutti capita di percorrere tratti di strade con le vetrine sigillate, strade che sembrano cieche, cimiteri di un mercato che fu. E’ triste.

Quello che una volta si faceva per strada adesso si fa nei centri commerciali o sul web. La ragione è un minore spreco del tempo, ma anche la convenienza. In un centro commerciale non si risparmia molto, ma volendo ci si passa la giornata e si può mangiare, bere, pascolare i bambini, il tutto senza sudare d’estate e senza bagnarsi e infreddolirsi d’inverno. Su internet ci sono infinite possibilità di comprare qualunque cosa a prezzi bassi, e c’è lo swapping, il baratto, lo scambio bilaterale o multilaterale di merci e servizi. Non buttare via niente, riciclare l’usato, darsi una mano offrendo e ottenendo un vantaggio funziona bene e la tendenza crescerà sempre di più.

Così, complice la terribile crisi, un commerciante non può che passare la mano. Ed è un peccato. L’economia di una città la fa il commercio. E anche la vivacità di strade e quartieri dipende molto dalle vetrine, dalla varietà delle botteghe, dalle loro luci e dai loro colori. Non solo le librerie, ma tutti i settori del commercio stanno soffrendo. Per ogni serranda che si abbassa c’è qualcuno che va a casa, che perde il lavoro, che smette di investire, di vendere e di comprare. Se andiamo avanti così perderemo pezzi di vita, ricordi, e ci intrupperemo davanti all’ingresso degli iper e dei mega, sempre più sfavillanti, e le vie sempre più povere. I mega e gli iper sono un pò la metafora di come va il mondo: tutto il bene si concentra in poche mani, agli altri la polvere e la resa.

Le colpe vanno distribuite equamente.

Sono colpevoli quelli che si sono inventati gli studi di settore, una mannaia irrazionale e punitiva. Sono colpevoli quelli che hanno voluto l’aumento dell’IVA, e ovviamente quelli che l’IVA non l’hanno mai pagata. Sono colpevoli i proprietari dei locali, che affittano a prezzi troppo alti ormai fuori dalle logiche del mercato, prezzi buoni solo per i marchi del lusso. Sono colpevoli anche i commercianti che non hanno saputo reagire al cambiamento. Le cose sono diverse, tutto ormai è diverso, anche il commercio tradizionale ha bisogno di inventarsi nuovi modi, magari affiancando tradizione e novità. Qualunque idea va bene, ma per favore non lasciateci vagare per strada col dito puntato “Uh, vedi? Ha chiuso pure questo! Ti ricordi com’era carino?”.

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