Sul piccolo schermo si cucina tutto il giorno

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Sul piccolo schermo si cucina tutto il giorno

Perché si parla tanto di cibo in questi ultimi anni? Perché l’attenzione per la cucina non accenna a diminuire? Forse perché la recessione ha trattenuto in casa molte persone che hanno giocoforza riscoperto l’ospitalità e la convivialità.

Sul piccolo schermo si cucina tutto il giorno e anche di notte, stiamo diventando tutti esperti eppure quest’anno nella classifica dei 50 ristoranti migliori del mondo soltanto tre sono italiani. I “cuochi fatui” svolazzano tra i fornelli degli show, imprecano contro i concorrenti maldestri di una gara culinaria, offrono sorridenti e magnanimi le loro competenze ai telespettatori affascinati e attraggono col loro successo moltissimi giovani che ormai considerano lo chef un guru e la cucina uno degli sbocchi professionali più interessanti e redditizi in questo tempo di crisi. Hanno ragione, perché quello legato all’alimentazione è un settore in grado di unire insieme l’industria, l’artigianato e il turismo.

Non tutto quel che si cucina in televisione val la pena di essere imitato in casa propria, non tutti i format basati sulla gastronomia riescono a superare la soglia del mero intrattenimento senza pretese. Diciamo pure che la maggior parte di essi dimentica la cosa più importante: che il cibo è cultura, è la storia della civiltà dei popoli. Il cibo è il sapere prezioso scaturito dalle energie e dagli sforzi dell’uomo attraverso i millenni. L’uomo ha imparato ad usare il fuoco, ad allevare animali, a coltivare la terra, ha “inventato” la pesca, ha scoperto alimenti commestibili e poi è riuscito a trasformare tale fatica fino a rendere una necessità primaria (la fame) un piacere e un’attività intellettuale.

Perché si parla tanto di cibo in questi ultimi anni? Perché l’attenzione per la cucina non accenna a diminuire? Forse perché la recessione ha trattenuto in casa molte persone che hanno giocoforza riscoperto l’ospitalità e la convivialità. Piuttosto che uscire si invitano gli amici a casa e si sta tutti insieme in cucina, si inventa, si propone un piatto nuovo o la rivisitazione di una ricetta tradizionale e ci si diverte tutto sommato con poco. O forse perché le preoccupazioni economiche generano ansia e non c’è niente come il cibo per calmarla. Forse un’altra spiegazione possibile sta nel fatto che gli uomini ai fornelli sono aumentati, stanno diventando un esercito: hanno scoperto che cucinare è bello. Tanti singles la sera tornano a casa e si rilassano preparandosi da mangiare, si trattano bene e si coccolano; tanti altri che vivono in coppia invece hanno compreso che tra la preparazione quotidiana e ripetitiva dei cibi – da sempre appannaggio femminile – e il “gioco” estroso attraverso il quale mettere alla prova talento e creatività c’è una bella differenza. I maschi ai fornelli – è innegabile – sono fantasiosi e preparatissimi nonché disordinati, ma questo è un altro discorso.  La risposta più semplice alle mie domande è che il cibo è sapere e conoscenza illimitati, e la cucina è una tecnica alla portata di chiunque.

Il cibo è lo specchio dell’appartenenza a un gruppo sociale: quello contadino è semplice e poco costoso, accessibile a tutti; d’altro canto c’è un cibo d’ eccellenza destinato a chi ha maggiori possibilità economiche. La contaminazione del gusto è univoca, perché il cibo contadino è molto apprezzato e consumato da chiunque ed è consuetudine trovarlo sulla tavola del ricco mentre è molto più difficile che certe prelibatezze e certi alimenti costosi entrino nelle case modeste.

Un aspetto molto importante del cibo sta nella sua doppia valenza, fortemente identitaria da una parte e di trasmissione di simboli e idee “nuovi” dall’altra parte. Nel primo caso il cibo esprime l’identità di un popolo, di un territorio, di una famiglia, di un’epoca: noi mangiamo le nostre radici non solo letteralmente. Nel secondo caso il cibo esprime il suo potere di mediatore attraverso la tendenza a sperimentare in cucina mescolando il tradizionale con l’esotico. Tale tendenza, che c’è sempre stata a tutte le latitudini ma che oggi è estremamente accentuata,  non rispecchia affatto il desiderio di annullare le differenze di gusto quanto piuttosto quello di rimarcarle, di sottolinearle con intelligenza e spirito innovativo. Ormai tutti siamo ben disposti a provare sapori e alimenti provenienti da lontano, talvolta li facciamo diventare una moda temporanea, eppure questa curiosità non intacca se non in piccola parte la nostra cultura originaria. Le due valenze, dal punto di vista sociale, economico e della sostenibilità ambientale, si possono condensare facilmente: il Km 0 e la globalizzazione.

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