Quando la polizia eccede

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Quando la polizia eccede senza motivo e prende a manganellate pacifici manifestanti nonché i loro rappresentanti sindacali avviene uno scollamento rispetto alla norma,  la condanna della violenza inutile è unanime e viene rimarcata con molta forza. Non sempre le cariche della polizia, i lanci di lacrimogeni, le botte e le percosse vengono stigmatizzati allo stesso modo, né da tutti indistintamente, anzi: di solito chi difende l’operato delle forze dell’ordine quando esagerano senza motivo è una maggioranza. Perché? Perché sebbene la nostra società sia teoricamente contraria alla violenza, è capace nello stesso tempo di giustificarla – se non di approvarla – quando coloro che la subiscono non fanno parte di un apparato o di un gruppo sociale che abbia una sua collocazione precisa all’interno delle istituzioni. Un conto è picchiare un sindacalista e i lavoratori che manifestano per il diritto al lavoro in un ambito legittimato, un altro conto è picchiare cittadini senza “bandiera” che manifestano – per esempio – per il diritto alla casa e che magari si rifiutano di lasciare edifici abusivamente occupati. E’ vero che i primi non commettono alcun reato e gli occupanti abusivi invece si, ma entrambe le categorie lottano per un elementare e sacrosanto diritto sancito dalla Costituzione. Gli occupanti abusivi, quando vengono picchiati e feriti, non ricevono molta attenzione mediatica e non ricevono neanche una solidarietà esplicita e decisa per le violenze subite, né da parte delle istituzioni né da parte dei cittadini comuni. Non parliamo poi dei casi in cui ad essere massacrato di botte è un singolo cittadino innocente, o uno sbandato, uno trovato in possesso di qualche grammo di erba: si viene a conoscenza delle violenze fisiche solo quando accidentalmente il malcapitato muore (Aldrovandi, Cucchi). Eppure l’uso della violenza dovrebbe essere sempre condannato con veemenza, anche nei casi in cui si vuole punire un reato. 

Non ho alcuna intenzione di sminuire la gravità di quanto accaduto ai lavoratori della Thyssen, il mio proposito è di accentuarla rimarcando un dato di fatto: la violenza che si esercita nei confronti dei cittadini non viene percepita sempre alla stessa maniera. Se dietro a una mobilitazione di piazza non c’è la struttura governativa che la muove, le manganellate suscitano solitamente uno sdegno minore. Per rompere la cortina di ferro delle giustificazioni e delle menzogne quando avvennero i fatti di Genova ci sono voluti anni, non ore o giorni: anni. Ieri sono bastati pochi minuti : lo sdegno non riguarda tanto il cittadino colpito quanto l’istituzione che lo rappresenta. E’ stato colpito il sindacato, al quale si manda un messaggio molto forte. Il sindacato ha il ruolo di dominio simbolico sui gruppi di individui che rivendicano un diritto negato. Il sindacato che porta in piazza un milione di lavoratori è il garante della mobilitazione, le conferisce un’autorevolezza e una legittimità che altrimenti non avrebbe. Se perfino questa forma codificata di protesta viene disturbata con l’uso della violenza da parte delle forze dell’ordine, a quel punto non conta quanti siano i feriti e i contusi, conta il fatto che le manganellate evidenziano – come dicevo all’inizio – un grave scollamento tra un’istituzione e un’altra, e che il senso della lotta è cambiato: non più cittadini contro il governo o contro l’azienda, ma il governo stesso contro un’istituzione che sta affiancando i cittadini. E’ la prima volta che accade. Se il governo vuole indebolire e costringere alla resa coloro che tutelano i lavoratori, questi ultimi perderanno la possibilità di difendersi, saranno come gli abusivi che non vogliono lasciare l’alloggio: soli.

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