Rispolverare un film della scorsa stagione

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L'Intrepido: foto del film di Gianni Amelio con Antonio Albanese in concorso a Venezia 2013

Rispolverare un film della scorsa stagione cinematografica ha un senso, perché questo film ha a che fare con una questione primaria : il lavoro. Il governo ha voluto il jobs act e il sistema del vaucher contro la generazione dei dimenticati, quelli che adesso hanno 25-35 anni, che non riescono a trovare un posto fisso e che si dovranno sottomettere al precariato per forza. Ecco, ci vorrebbero milioni di Antonio Pane, farebbero la gioia del premier, della UE e del capitale. Chi è Antonio Pane lo sanno tutti quelli che non hanno mancato di vedere “L’intrepido“, agli altri si può provare a spiegare com’è questo stranissimo personaggio le cui caratteristiche si possono – disponendo di una buona dose di malafede – interpretare anche come propedeutiche al sistema.

L’intrepido, ma anche l’Idiota: Gianni Amelio avrebbe potuto intitolare il suo film L’Idiota intrepido, nel senso che Antonio Pane ha la stessa bontà assoluta del principe Myskin di Dostoevskij, la stessa inverosimile e meravigliosa capacità di mescolarsi col mondo e con le vite degli altri irradiando serenità e senza farsi intaccare da nulla, rimanendo intatto, intero. Antonio – interpretato magistralmente da Antonio Albanese – non ha un lavoro solo e basta, ne ha tanti: fa il rimpiazzo a chiamata. Un sordido intermediario lo manda come sostituto lì dove un operaio, un impiegato, un manovale o un tranviere devono assentarsi dal lavoro per qualche ora o per qualche giorno. L’intermediario lo paga poco e anche raramente, ma Antonio Pane non se ne lamenta per una ragione molto semplice: gli piace lavorare. Gli piace fare qualsiasi cosa, è più che flessibile e più che umile: lui scivola attraverso la realtà senza opporre alcuna resistenza, troppo buono perfino per irridere chicchessia e per questo forte come una roccia.

L'Intrepido: foto del film di Gianni Amelio con Antonio Albanese in concorso a Venezia 2013

Ha rinunciato in passato a qualche bel sogno oppure a un talento? Non importa, succede. Ha perso l’amore della moglie che gli ha preferito un uomo ricco e volgare? Pazienza, ognuno è quel che può, inutile serbare rancore. Attenzione, Antonio non è un ignavo e ha dignità da vendere, non è sprovveduto ma solo pulito. Dentro di sé conserva dei princìpi inviolabili, si tiene ben stretti un pugno di valori a cui mantenere fede senza remore e a qualunque costo. Antonio è anche straordinariamente capace di dare agli altri: sicurezza, amore, affetto, fiducia, tutta roba che vale molto. Alla fine del film ce ne dà una prova assoluta, lascia noi spettatori con una sorpresa e al figlio lascia un’eredità di fronte alla quale nessun conto in banca potrebbe mai competere.

Antonio parla con tutti e osserva con attenzione, gli piace avere a che fare con la gente, gli piace certamente più che fare soldi. Lavorasse solo per sostentarsi sarebbe uno tra tanti: nossignori, lui lavora per sentirsi parte integrante della società. Non gli passa neanche per la testa l’idea di essere sfruttato, non s’arrabbia al pensiero che nel suo paese un uomo volenteroso e duttile non possa avere un mestiere, un posso fisso, una pensione. Dice “Beato chi può scioperare perché ha un lavoro“. Antonio non potrebbe neppure scioperare, se volesse. E’ un paria senza risentimento, una figura sociale arcaica in un contesto che ancora ha una sua parvenza di modernità e di progressismo, che ancora si convince della sua internazionalità un pò fieristica ma è più una questione teatrale che altro. La voglia di scappare via dall’Italia gliela fa venire il cinismo degli uomini, l’osceno mercato che è diventato il mondo del business, la constatazione che gli italiani abbiano subìto una sconcertante “mutazione antropologica”. Si spaventa, si accorge di essere un modello umano in disuso, dismesso, in fondo un abusivo, e si accorge che per lui in mezzo a noi che ci siamo persi non c’è posto.

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