Il sacchetto bio a metà strada tra ambientalismo e camurrìa

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Il sacchetto bio a metà strada tra ambientalismo e camurrìa

Contestare la legge sul sacchetto bio non è da imbecilli, e non è nemmeno una perdita di tempo. Vediamo insieme perché.

Un cittadino che accetta aumenti continui dei consumi di luce, acqua e gas e che accetta soprusi oppure cattive leggi non dovrebbe perder tempo a lamentarsi per un provvedimento che gli costerebbe solo dai 4 ai 12 euro l’anno: questo è il ragionamento più gettonato del momento. E’ un ragionamento che non regge per almeno due ragioni. La prima è che i princìpi sono importanti, ed è sbagliato considerare “minori” certi problemi perché li si giudica solo in base all’esiguità del costo da sopportare. La seconda è che se detestiamo il rincaro della bolletta della luce piuttosto che il jobs act, i tagli alla sanità, il pareggio di bilancio in Costituzione, noi non possiamo fare altro che ingoiare i bocconi amari e aspettare il momento e l’occasione giusta per dimostrare disaffezione e disistima. Mi pare che si faccia così dappertutto, oltre che scendere nelle piazze a protestare o a scioperare col triste risultato di prendere qualche manganellata sulla testa.  Gli italiani hanno addirittura subìto lo smacco di vedere ignorato l’esito del referendum sull’acqua. Questo non vuol dire che accettino tutto supinamente: le rapide ascese e le altrettanto rapide discese agli inferi dei capi di governo che hanno inferto troppi colpi alla comunità sono esempi lampanti di non accettazione e di composta ribellione. Quale altra spiegazione ci sarebbe del costante timore per l’instabilità del nostro e di altri Stati europei in questi anni? Il cosiddetto populismo è – appunto – sintomo di scontento.

La legge sui sacchetti è la goccia che fa traboccare il vaso perché è molto male impostata e ha caratteristiche illogiche d’imposizione davvero poco limpide. In questo caso è molto probabile che le critiche riescano a sortire dei risultati, oltre a mostrare tutte le falle del provvedimento a chi abbia voglia di vederle. Se vuoi che una legge venga recepita come qualcosa che serve a tutelare il bene comune non puoi presentarla tanto pasticciata da far pensare l’esatto contrario, vale a dire che quella legge sta tutelando interessi privati col supporto – benché minimo (ma è la somma che fa il totale) – di ogni singolo cittadino. Si preoccupano della tutela dell’ambiente e della nostra salute. Noi li ringrazieremmo, se non fosse che sono gli stessi che trivellano i nostri mari, che incentivano la costruzione di nuovi inceneritori piuttosto che favorire la raccolta differenziata porta a porta e differenti metodi di smaltimento dei rifiuti; se non fosse che sono gli stessi che permettono l’uso del glifosato in agricoltura, e in questo caso mi riferisco alla Commissione europea. La coerenza è la base dell’autorevolezza, se manca sono guai.

   Cosa sta accadendo? Dopo aver proibito l’uso di qualunque altro tipo di involucro che non sia il sacchetto bio, il governo – che brutta figura! – ha fatto marcia indietro: si possono utilizzare sacchetti diversi, purché idonei a contenere cibi. Su quel “purché idonei” ne vedremo delle belle. Bisogna considerare che tanti cittadini, per una saggia abitudine, vanno a far la spesa muniti di involucri personali che sono compatibili con la tutela dell’ambiente. Se potranno continuare a farlo, se non gli si creeranno problemi per scoraggiarli, sarà già una vittoria. Chi stabilisce se un sacchetto di cotone ecologico lavabile oppure di carta riciclata è idoneo a contenere verdure e frutta? La cassiera del supermercato o il macellaio di fiducia? Arrampicandosi sugli specchi, il segretario del Ministero dell’Ambiente ha dichiarato che il monouso bio non è solo questione ambientale bensì igienica. Da dove salta fuori questa storia? Praticamente il governo, dopo le proteste, perde terreno da una parte permettendo l’uso di altri sacchetti e subito cerca disperatamente di recuperare da un’altra parte. Secondo il Ministero non è igienico riutilizzare il medesimo involucro più volte perché la salute pubblica sarebbe a rischio. Davvero? Chi di noi sa se i broccoletti, le mele o il pane sono caduti in terra prima di arrivare sugli scaffali? E chi può giurare di non aver mai visto qualcuno starnutire o tossire davanti al bancone dell’insalata o delle fragole? Di esempi per far comprendere al Ministero che i sacchetti bio verranno contaminati in ogni caso dai cibi che vi metteremo dentro ne potremmo fare moltissimi, tanto più che la legge non riguarda solo i supermercati ma tutti i negozi di alimentari. Dunque: il monouso non garantisce alcuna tutela della salute e dell’igiene, non diciamo sciocchezze.

Torniamo alla questione ambientale. Va da sé che un sacchetto ultraleggero che contenga una percentuale di materia naturale compresa tra il 40% e il 60% è migliore della classica busta di plastica. Usarlo una volta sola significa inquinare parecchio, a conti fatti. Il sacchetto non evapora nell’aria. Non si può evitare il monouso neanche volendo, poiché l’etichetta col prezzo rende di fatto il sacchetto inutilizzabile per fare un’altra spesa. Se volessimo adoperarlo a casa per la raccolta dell’umido sbaglieremmo, dato che una parte della sua materia non è compostabile come l’umido. Avendo anche vietato di inserire nel sacchetto due tipi di ortaggi o due diversi frutti oppure due tipi di pesce che abbiano il medesimo prezzo al kg (quante volte l’ho fatto!), è logico che avremo bisogno di molti più sacchetti rispetto a prima. Sarà una vittoria se coloro che non utilizzeranno i sacchetti bio nel supermercato o nel negozio di alimentari non dovranno più pagarlo comunque, così come sta accadendo adesso. E’ un metodo assolutamente arbitrario, al sud si chiama camurrìa. Per quel che riguarda il costo, non è vero che tutti gli esercizi applicano la regola: il costo dei sacchetti sta oscillando un po’ dovunque dai 2 ai 5 centesimi.

Che cosa dice la direttiva UE? Ovviamente non fa menzione di motivazioni igienico-sanitarie, vuole limitare al minimo l’uso delle buste in plastica, non impone l’obbligo di pagamento per i sacchetti ma pilatescamente lascia ai singoli governi la scelta di attribuir loro un costo o meno. La direttiva europea dice che “entro il 31 dicembre 2018 le borse di plastica in materiale leggero non siano fornite gratuitamente nei punti vendita di merci o prodotti a meno che non siano adottati provvedimenti di pari efficacia. Le buste in plastica in materiale ultraleggero (ossia con uno spessore inferiore a 15 micron) possono essere escluse da tali misure”. I sacchetti della discordia di cui parliamo hanno proprio uno spessore inferiore ai 15 micron, potrebbero dunque non avere alcun costo se il governo per esempio tassasse considerevolmente le buste di plastica pesante. La Commissione Europea tramite un portavoce ha testualmente dichiarato: “Bisogna fare in modo di utilizzare le buste di plastica solo quando non se ne possa veramente fare a meno e, in alternativa, ricorrere ad altri contenitori riutilizzabili per il trasporto dei prodotti dal negozio a casa”. Chiaro, chiarissimo, no?

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