San Gennaro ermafrodito

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San Gennaro ermafrodito

In un libro di cento pagine Jean Noel Schifano immagina San Gennaro come un essere per metà donna e per metà uomo, “divina Provvidenza per tutti coloro che, non dimentichi della loro natura femminile, se la godono”.

San Gennaro ermafrodito: il miracolo dello scioglimento di un sangue rappreso dentro a un’ampolla, che si ripete sin dal 1389 due volte all’anno, è stato interpretato da Jean Noel Schifano in una maniera tanto originale quanto arguta. Schifano, un critico letterario metà siculo e metà lionese, ha saputo dare di Napoli un’interpretazione particolarmente suggestiva nel suo libro Neapocalisse, ed è in quelle pagine che azzarda una teoria dell’androginia del santo che centra pienamente il “sentire” della devozione alchemica dei fedeli partenopei e che scaturisce dall’aver saputo cogliere nell’anima profonda della città il desiderio più forte e struggente, che è proprio quello di affrancarsi dal giogo delle differenze. Schifano considera il sangue di San Gennaro il punto di congiunzione tra maschi e femmine: per queste ultime la liquefazione semestrale rievoca le mestruazioni e anche il parto, per gli uomini si tratta di un processo di identificazione col sublime, e il prodigio diventa qualcosa che li spinge a liberarsi di ogni limitazione fino al punto di perdere l’identità sessuale, esattamente come il Santo, che la Chiesa cattolica ha raffigurato tagliato a metà, fino al busto. San Gennaro, il cui vero nome era Ianuario, aveva modi e tratti molto gentili, si accompagnava ai suoi 45 seguaci più fedeli e tra questi ne spiccavano due per fedeltà e affinità. Si chiamavano Festo e Desiderio, e non può essere un caso. Decapitati tutti e tre per volere di Diocleziano, costituiscono una triade indissolubile: i cristiani che assistettero al martirio si premurarono di raccogliere il loro sangue. San Gennaro dunque diventa per Schifano il santo della festa e del desiderio, dell’annullamento delle distinzioni, della femminilità e della mascolinità finalmente uniti, almeno a Napoli, almeno nel suo ventre oscuro e nella calca impaziente e adorante che ogni anno aspetta nel Duomo il suo miracolo. La figura del “femminiello” del resto ha per i napoletani connotazioni positive: il femminiello porta fortuna, è buono, viene rispettato e conserva da secoli un ruolo privilegiato in seno alla società così come nella letteratura. A lui è riservata una partecipazione d’onore anche e soprattutto durante lo svolgimento di funzioni e celebrazioni religiose di rilievo. Perché? Perchè Napoli sa che chi ha preso il sesso degli angeli fa da tramite tra la terra e l’ignoto, il cielo, il trascendente. Schifano ricorda che c’è un altro sangue che ogni anno si scioglie nella chiesa di San Gregorio Armeno, nel quartiere degli artigiani del presepe più famosi al mondo : è il sangue di Santa Patrizia, che i napoletani ignorano caparbiamente da sempre a favore del santo patrono, lui si totalmente capace di attraversare la soglia del possibile, di sopportare pazientemente le incitazioni febbrili a fare il miracolo, di rappresentare il dualismo e di dare dignità al culto pagano, alla superstizione, alla speranza. Per il titolo del suo libro, edito nel 1990 da Tullio Pironti, Schifano unisce la parola Neapolis, città nuova, alla biblica parola apocalypsis, rivelazione, ma essa stessa composta da tue termini diversi, apo che in greco significa separazione, e kalyptein che significa nascondere. Non avrebbe potuto scegliere meglio: Napoli è città separata, città che nasconde, che dà il gusto di lasciarla e che trattiene, ed è infine rivelazione: non vi è altro luogo più emblematico per raffigurare distruzione e rinascita, e non vi è luogo più adatto all’osservazione del corso della Storia, come in uno specchio: quel che avviene prima a Napoli avverrà dopo altrove, è sempre stato così e sempre sarà così.

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