Se mi cacciate non avrete la casa

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Se mi cacciate non avrete la casa

Si chiama Giovannina Serra, è stata rintracciata e arrestata con l’accusa di omicidio e strage l’attentatrice di ottantadue anni che ha fatto esplodere un edificio a Roma con una bombola di gas in seguito a uno sfratto a cui si opponeva da anni. Non è pentita, se potesse tornare indietro lo rifarebbe.

Se mi cacciate non avrete la casa, ve la farò saltare in aria, ve la lascerò sfasciata, smembrata. Così imparate. Una donna sola, e per giunta ultraottantenne, non si manda via come fosse una randagia. Dev’essere stato questo per mesi e mesi il pensiero fisso di quella vecchia signora rimasta senza il compagno da quattro anni. Lui è morto, e lei ha perduto il diritto di abitare nella sua casa, nella quale risiedeva da 21 anni. Gli appartamenti si ereditano, e i figli di quel morto non devono aver retto a lungo una situazione che di vantaggi non gliene portava nessuno: la compagna del padre non pagava l’affitto, e se avesse avuto ancora una manciata di anni di vita avrebbe impedito agli eredi di affittare, di vendere, di andarci ad abitare loro, lì dentro. E allora via, fuori. A ottantadue anni è dura.

La donna se l’è raccontato a lungo, il finale della storia: se esco di qui lo faccio col botto, non si tratta così una persona, e dove vado? In un ospizio? A casa di parenti, come un’ospite? Questo è il mio posto. E la memoria di lui, la vogliono rispettare o no, questi avidi figli? Lui mi voleva bene, ci volevamo bene, non gli piacerebbe vedermi vagare, insicura e ancora più sola e sguarnita. Non glielo ha detto, prima di morire? Avrebbe potuto lasciare una carta, un foglietto, qualcosa di definitivo per rassicurarmi, tipo “fino alla morte questa donna abiterà la mia casa”. Firmato. Invece niente, oppure il foglietto autografato c’era e quelli se ne sono infischiati.

Cosa ne sappiamo noi di questi figli che sembrano senza cuore? Niente. Si può immaginare che in tempo di crisi tutto faccia brodo, figuriamoci un appartamento. Non sarà stato lussuoso ma se uno non ha più il lavoro e ha bisogno di realizzare quattro soldi? E se il lavoro c’è ma ci sono figli piccoli da crescere, da istruire, da vestire e da curare, non fa comodo aggiungere una piccola rendita a uno stipendio magro? Ognuno sa di cosa necessita, ognuno secondo la propria misura, le proprie miserie, i propri piccoli sogni. Così succede di sembrar cattivi e si stabilisce che basta, la signora è un’estranea e se ne deve andare, quella proprietà è nostra e i nostri guai sono maggiori dei suoi. 

Disperata all’idea di dover abbandonare la tana, le sue abitudini, i pomeriggi e i giorni di inedia, la donna ha organizzato la sua vendetta. Deve aver letto da qualche parte che a una certa età non si va più in carcere, oppure deve aver creduto che il carcere o un ospizio fossero lo stesso identico schifo, lenzuola sporche e pazzia, dunque senza indugio s’è trasformata in una bombarola, un’attentatrice. Non è ci dato di comprendere quale sentimento indicibile la sovrastasse per arrivare a cancellare dalla sua coscienza la preoccupazione per la sorte degli altri inquilini.

Una volta privata del conforto di un altro fiato, di un’altra voce che le parlasse e di orecchie che l’ascoltassero forse ha mollato la presa dell’ancoraggio alla realtà, ha ceduto al rimbombo della deflagrazione, dello scoppio riparatore, ha ceduto all’odio feroce e al rancore come quando tuffandosi nel mare si cede alle onde. Ha ucciso un uomo, ne ha feriti 15, altri li ha lasciati senza casa, e lei se n’è andata non prima di aver autografato una maledizione posizionata in bella mostra su un’auto parcheggiata davanti al palazzo. E’ accusata di omicidio e tentata strage, non è roba di poco conto: è la gravità della legge che la inchioda alle sue responsabilità.

Le coalizioni politiche dell’opposizione hanno approfittato per chiedere un’interrogazione parlamentare sulla carenza degli alloggi, ma non credo che questa volta la questione degli alloggi – che pure è un problema serio – abbia a che fare con questa anziana donna. Una donna tanto accanita l’avrebbe accettata, una casa dal comune? Voleva che i figli del suo uomo le riconoscessero il diritto di finire i suoi giorni tra quelle mura. La sua reazione violenta e crudele, il suo gesto da Attila riguardano ben altro che il problema degli alloggi: qui si tratta di una lotta privata tra due parti senza altro legame che un uomo defunto, qui si tratta (se nessuno l’ha aiutata) di grave disagio mentale, una parola che il vocabolario della politica e della società non contempla. I cosiddetti “matti” sono fantasmi trasparenti finché non ci scappa qualche morto.

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