Sono sparite le banconote da 500 euro

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Sono sparite le banconote da 500 euro

In Italia il problema della corruzione, dell’evasione e del riciclaggio di denaro sporco non vogliono risolverlo, così si ricorre a provvedimenti da Stato di polizia che creano difficoltà solo agli onesti, mentre gli altri se la ridono.

Sono sparite le banconote da 500 euro. In giro ne circolano pochissime. Perché c’è miseria? No, perché occupano poco spazio. Tutto il contante non dichiarato, quello che si guadagna in nero, viene conservato in casa in qualche nascondiglio (il pouf dei coniugi Poggiolini è passato alla storia) oppure nelle cassette di sicurezza in banca. Le banconote da 500 euro sono le più adatte, nel senso che per esempio 80 volte 500 fa 40mila euro, e va da sé che 80 banconote una sull’altra formano un pacchetto poco voluminoso: entra in un tostapane, per dire. Sappiamo tutto su come e perché i ricchissimi portano soldi all’estero legalmente o illegalmente e trascuriamo il particolare che le 500 euro servono molto anche a chi i soldi li nasconde qui, e li adopera per pagare un po’ tutto, dalla sartoria all’estetista, dalla ristrutturazione dell’appartamento al dentista o al parrucchiere, dalla mazzetta per il politico all’acquisto di beni mobili e immobili. In Italia circola molto più denaro “nero” che ufficiale, e le tasse, tutte le tasse, le pagano solo quelli che hanno la busta paga, quelli che non possono farne a meno.

Del resto l’idea che qualche anno fa venne a qualcuno di togliere di mezzo le 500 euro sarebbe ridicola (benché negli altri Stati non esistano banconote dello stesso valore) come è inaccettabile il provvedimento voluto dalla sinistra che rende tracciabile ogni movimento di denaro che superi i mille euro. La tracciabilità significa Stato di polizia, significa che lo Stato acquisisce uno strapotere inutile ficcando il naso in tutto quello che facciamo noi onesti, noi perbene. Gli altri, quelli da controllare e da punire, se la ridono. Praticamente il nostro Stato non è assolutamente in grado di combattere seriamente la corruzione, l’evasione, il riciclaggio oppure non vuole farlo e preferisce coinvolgere i cittadini onesti facendo pagare soltanto a loro lo scotto.

Non appena salta fuori il nome di un evasore eccellente si parte in pompa magna con le discussioni da talk show, nelle quali si comincia a straparlare della necessità urgente di combattere l’evasione. E’ un problema grave e urgente, questo, da almeno cinquant’anni. Gino Paoli in questi giorni è diventato capro espiatorio di tutti gli evasori noti e non noti: già prima della condanna viene considerato con certezza colpevole del reato, lo hanno deciso in fretta e furia e con  grande soddisfazione un po’ tutti, soprattutto i giornalisti e gli elettori di destra. Quando uso il termine “destra” mi rendo conto che poiché non c’è più la sinistra, tutto è a destra di un luogo figurato che non esiste se non come categoria del pensiero e non della politica. Da quando è scoppiato il caso Paoli, ci sono alcuni giornalisti che gongolano e se la godono: un uomo che si è sempre professato di sinistra, stimato e insospettabile, colto in fallo attraverso una serie di intercettazioni telefoniche che sembrano proprio inequivocabili, è un bocconcino prelibato. Vittorio Feltri, che non riesce a trattenere la soddisfazione, si è palesato su Twitter con una battuta “Eravamo quattro amici al bar, uno non pagava le tasse, e ha fatto carriera”. Accidenti! Uno non pagava le tasse?

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