Spunti di caricature politiche

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Spunti di caricature politiche

Spunti di caricature politiche se ne trovano, ormai, fin troppi. L’ultimo in ordine di tempo – Hollande – convoglia su di sé tutti gli umori del tempo e tutti i progetti e i propositi già collaudati. Ma c’è pure Renzi che va da Erdogan, il Presidente turco che apre il passaggio alle armi, a jihadisti di ogni risma e piace all’occidente perché fa la distinzione tra ribelli moderati e ribelli cattivi, e i moderati sono quelli che vogliono la stessa cosa che vuole Obama: togliere di mezzo Assad.

Un’arlecchinata (senza offesa per Arlecchino), un vespaio (senza offesa per le vespe), un dinamismo presuntuoso e precario muovono insieme l’aria e attraversano l’etere, scoppiano sui giornali, ci bombardano da ogni parte con quella parola: guerra, che se non si sta attenti ci si esalta pure. E mentre la parola risuona, le veglie della gente davanti ai luoghi degli attentati continuano, è tutto uno sbrilluccicare di piccole candele, tutto un sommesso passeggiare compostamente lungo le strade del crimine, però basta uno scoppio qualunque e la compostezza sparisce, si scappa da tutte le parti, si passa sulle candeline con gli stivali, si calpestano le letterine con le poesie e i cuori e si scivola malamente sui fiori, cosicché tutti quei fiori bianchi e tutti gli altarini in un attimo diventano l’imitazione appena appena meno sciatta ma assai più triste di un mercato ortofrutticolo all’ora di chiusura. L’impero della Paura sta dentro di noi, ci domina dal di dentro, ecco cos’è che succede.

Si testimonia il cordoglio ma è anche “io ci sono perché poteva capitare a me”, si sente il dolore ma è soprattutto shock emotivo. La fratellanza che prima non c’era per niente – anzi, ci si guardava storto – fa sentire buoni. L’impressione – almeno per me – è che si tenti di esplorare il vuoto armati dei migliori sentimenti ma sentendo forte la mancanza di un disimpegno, non ce la si fa più a reggere ‘sta pesantezza che avvolge il secolo, e così ci si affida ai lumicini, al “je suis Paris”,  al tizio col pianoforte che fa a pezzi Imagine, agli inni nazionali, e intanto i governanti di tutto l’occidente prima fanno spegnere i monumenti, poi li riaccendono coi colori della bandiera francese, da Sidney a Roma: non è attestazione di grandeur perché manca la magìa e pure la potenza, è una messinscena intrisa di sostanza ideologica, nazionalista o nazionalpopolare, qualcosa che rievoca il fanatismo un po’ medioevale delle convenzioni. Per la seconda volta in un anno a Parigi delle sfortunatissime persone muoiono orrendamente e crudelmente ammazzate e per la seconda volta assistiamo al cabaret occidentale, mescolato con una dose massiccia di ansia sociale. Sopra le teste delle brave persone che vogliono testimoniare e partecipare e fotografare e filmare aleggia la Storia che si sta dipanando veloce, ma non ci si fa caso. Un ministro degli interni che non ha svolto bene il suo compito non si dimette, e non si dimette neanche il Presidente incapace, piuttosto avverte la cittadinanza traumatizzata che lui – proprio lui – cambierà la Costituzione francese. Liberté, egalité e fraternité andranno in pensione? Così pare, e finisco con una domanda: la cura contro il terrorismo servirà davvero alla pace o a trasformare noi?

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