Stoner è un’epifania

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Stoner è un’epifania. Il romanzo di John Williams fu pubblicato nel 1965 e per ottenere considerazione e visibilità ha aspettato 40 anni nell’ombra. Difficile crederci: 40 anni! La New York review of books l’ha riproposto nel 2006 e da noi in Italia è arrivato, con Fazi editore, nel 2012. Un capolavoro della letteratura americana riscoperto e osannato da scrittori del calibro di Mc Ewan, Hornby e Ellis che innamora e stupisce. E’ molto probabile dunque che vi siano in giro, dimenticati oppure mai pubblicati, altri romanzi straordinari di cui nessun editore ci farà dono strappandoli all’oblio.

Chi è Stoner? Un ragazzo nato e cresciuto nel Missouri, figlio di contadini. In casa sua si parla poco e si lavora tanto, le cose essenziali e forti – come i sentimenti – stanno nei gesti impercettibili. A 19 anni Stoner si iscrive all’università alla facoltà di agraria perché dovrà prendere il posto del padre nella cura della terra arida e dura. Non se la sente, scopre di non poter fare a meno della letteratura e cambia indirizzo di studi senza avvertire i genitori: omette la verità per non ferirli, per ritardare il momento in cui essi capiranno che il passato è perduto, la fatica è perduta e l’eredità è stata rifiutata.

Stoner si laurea e diventa insegnante lì dove ha studiato. E’ quello tutto il suo mondo, un luogo senza euforia e senza tristezza che lo preserva per sempre dalla volgarità. Sposa una donna che non gli somiglia e che non lo ama, ha una figlia, s’innamora di un’allieva ma decide di non cambiare la sua vita insieme a lei. Si ammala e muore nove anni dopo il pensionamento. Ispirato alla vita di James V. Cunningham, poeta e insegnante, il personaggio di questo magistrale romanzo è un uomo comune ma non è un qualunquista, è gentile e appartato, solo apparentemente rinunciatario. La normalità di Stoner diventa eroismo, trascendenza, un’ipotesi filosofica: un’enormità. Dopo aver letto il libro ci si ripensa, a Stoner, come fosse un amico lontano.

Mi succede di ripensare, per esempio, alla sua rinuncia all’amore. E’ una scelta sulla quale si potrebbe discutere a lungo, sempre equivocando. Non deve averlo fatto per paura. Non deve averlo fatto per la famiglia. Deve averlo fatto per non rovinare tutto. Se insieme a una donna Stoner è riuscito a sfidare la forza di gravità e anche i colpi bassi della necessità e dell’abitudine, se con lei ha sfiorato la perfezione elementare dello stare al mondo, probabilmente ha pensato di non dover prolungare tutto quel bene fino a farlo diventare una ricchezza  a basso costo, un fatto sul quale gli altri avrebbero ficcato il naso. Stoner è per Williams la rappresentazione vivente di un sistema di difesa, l’incarnazione di una precisa categoria dello spirito, di una maniera di concepire l’esistenza che normalmente si potrebbe associare alla mancanza di coraggio, ma non è affatto così. Fermare le cose in tempo è una forma di saggezza che ha qualcosa di femminile e di antico: Stoner non vuole dare al tempo nessuna possibilità di trasformare la perfezione in banalità. Un concetto semplicemente leggendario fa di questo personaggio un eroe: la salvezza esige un pedaggio, e quel pedaggio è il minimalismo.

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