Un uomo senza qualità e senza colori

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L' incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio

Un uomo senza qualità e senza colori è il protagonista del romanzo “L’incolore Tazaki Tsukuru” di Murakami Haruki, scrittore giapponese prolifico e molto amato in occidente e in Italia. La disinvoltura dello stile di Haruki rende la lettura fluida e veloce: senza ostacoli di sorta si arriva alla conclusione come sorseggiando una limonata. Non vi è – apparentemente – nulla di veramente toccante in questa storia ricca di simbolismi che non l’appesantiscono e che si possono anche ignorare. Il lettore segue le vicissitudini di Tsukuru senza mai provare emozioni forti, spinto dalla curiosità di conoscere la verità su una vicenda accaduta durante la prima giovinezza del protagonista. Eppure pagina dopo pagina i tormenti di Tsukuru diventano emblematici del nostro tempo ed egli stesso incarna le difficoltà dell’essere umano contemporaneo, impegnato a recitare un ruolo codificato in una società fondata sull’individualismo e sulla diffidenza.

Tsukuru da giovanissimo ha quattro amici – due ragazze e due ragazzi – coi quali condivide ogni interesse, ogni sentimento, tutti i moti dell’animo e tutto il suo tempo libero. I cinque sono come una sola persona, l’unica differenza tra loro sta nella radice del nome che portano: ogni nome indica un colore, invece il nome di Tsukuru significa soltanto “colui che costruisce” e non ha colori. E’ sufficiente perché Tsukuru se ne dispiaccia.  Quando si è molto giovani non esistono né limiti né remore, si ama senza condizioni e si vive di slanci. Almeno è così che Tsukuru ama i suoi amici. Improvvisamente questi ultimi decidono di escluderlo per sempre dal gruppo senza fornire spiegazioni e lasciandogli un solo appiglio su cui riflettere: gli attribuiscono una colpa dalla quale nessuno di loro ha intenzione di prescindere, ma non gli dicono quale. Tsukuru s’interroga: è certo di non aver compiuto azioni malvagie, di non aver offeso né tradito i suoi amici, non ne sarebbe capace. Disperato e solo, piomba in una cupa depressione che lo trasforma fino a renderlo diverso, completamente estraneo allo Tsukuru del passato. Dopo sei mesi di dolore riesce finalmente ad allontanare da sé il pensiero del suicidio e – ormai smagrito, anaffettivo e introverso – lentamente comincia a  condurre una vita normale: lavora, pratica il nuoto, intrattiene relazioni poco significative e coltiva la convinzione di essere un uomo privo di contenuti, scialbo e insignificante. Tsukuru non si piace.

A sedici anni di distanza dall’episodio che ha sconvolto la sua esistenza Tazaki Tsukuru incontra Sara, una ragazza di due anni più adulta che percepisce in lui il groviglio di nodi, quel magma doloroso che lui nasconde e da cui lo esorta a liberarsi. Sara diventa una sorta di “guida spirituale”, a metà tra una madre attenta e una psicologa. Insieme a lei Tsukuru trova il coraggio di guardare indietro, nel passato: per guarire deve incontrare i suoi vecchi amici e parlare con loro. Una fatica simile a quella del salmone che viaggia controcorrente fino alla meta e che Haruki racconta seguendo un ritmo sempre uguale, volutamente monotono e scarno: nipponico. Infine Tsukuru, ormai liberato e in grado di volersi bene, si scopre piano piano perdutamente innamorato di Sara. Lei ricambierà? Accetterà di sposarlo?

I dialoghi non sono la parte migliore del romanzo. Quelli tra Sara e Tsukuru, soprattutto, sono troppo didascalici e poco coinvolgenti; rivelano, più che l’intensità di un rapporto profondo tra un uomo e una donna, una completa disparità. Forza e consapevolezza si contrappongono a debolezza e incertezza, la capacità di comprendere e di accogliere di Sara contrasta con la personalità di Tsukuru, concentrato su di sé ed univoco. Lei lo studia e lo indirizza, lui si abbandona. La saggezza utile ma un pò noiosa di lei e l’affascinante inquietudine di lui si danno la mano.

“L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio”, Einaudi.

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