UNDERGROUND, un racconto breve

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UNDERGROUND

Stanotte non ho dormito. Non faccio che ripensare a ieri sera, a mia moglie e a quello che mi ha detto. Sono avvilito.

E’ successo tutto a cena nella trattoria di fronte a casa nostra. Laura piuttosto che mangiare spostava nervosamente con la forchetta le zucchine nel piatto.

“Tu credi di conoscermi bene?” mi ha chiesto. Quando mia moglie deve dire qualcosa di importante fa sempre il giro lungo.

“Oddio, partendo dal presupposto che non credo di conoscere bene neanche me stesso direi che dopo vent’anni di matrimonio noi due siamo abbastanza intimi.”

“Prova a descrivermi con tre parole.”

“Eh?”

“Per favore.” Il tono era perentorio.

“E’ ridicolo. Così a bruciapelo mi viene in mente che sei razionale, affidabile e, e, e taciturna.”

“Lo vedi? Non mi conosci. Hai azzeccato solo l’ultima, perché è evidente che parlo poco.”

“Qual è il problema, Laura?”

“Il problema è che non sono affatto una persona logica e prevedibile, mi comporto come se lo fossi soltanto per compiacervi.”

“Compiacervi? Compiacere chi?”

“Te mia madre mio padre mia sorella le mie amiche i tuoi amici il mio capo i colleghi: tutti.”

L’ho vista arrossire come se nel suo piatto d’un tratto si fosse acceso un fuoco e la luce le riverberasse sul collo e sulla faccia.

“Non alzare la voce, ci stanno guardando.”

“Chissene frega.”

“Va bene, dimmi che hai.”

“Sto benissimo, mai stata meglio. Solo che ho deciso di raccontarti una cosa che non ti ho mai detto. Non solo a te, a nessuno.”

Mi ha guardato dritto negli occhi, ho avuto una leggera vertigine perché non mi piacciono le sorprese. Ho aspettato che parlasse fissando un orribile lampadario che pendeva dal soffitto.

“E’ una cosa che faccio da quando avevo sedici anni.”

“Quindi tu da trent’anni fai una cosa di cui ti vergogni, altrimenti non sarebbe un segreto” ho detto.

“Non me ne vergogno affatto, non è un segreto di cui mi debba scusare. Fino a tre mesi fa non avevo alcun motivo per confidartelo.”

“E che è successo tre mesi fa? Che cos’è che t’ha fatto cambiare idea?”

“Hai un tono che non mi piace.”

“Cristo santo, Laura, mi stai facendo un discorso assurdo. Mi nascondi qualcosa da una vita e il fatto che all’improvviso tu voglia parlarmene non mi rasserena. Dovrebbe?” Per pochi secondi ho sperato che rispondesse si.

“No.” Lunga pausa. Laura ha bevuto un bicchiere d’acqua, poi finalmente è entrata nel vivo della faccenda.

“Ogni giorno salgo sulla metro per andare in ufficio e aspetto che le porte si chiudano.”

“Che significa?” L’ho guardata sorridendo come un ebete.

“Voglio dire: salgo sul treno almeno dieci minuti prima dell’orario di partenza, sempre. Resto in piedi accanto alla porta automatica e aspetto. Mi batte il cuore a mille, sudo e le gambe mi tremano.  Appena sento quel soffio inconfondibile, quello sbuffo che fanno le porte prima di chiudersi, hai presente?, fluufff,  allora mi lancio fuori in un decimo di secondo e prima che la porta mi spacchi a metà rientro in vettura con un salto. E si parte. Non c’è niente che mi emozioni a tal punto. Niente. Una volta la porta m’ha trattenuto i capelli, mi sono liberata alla prima fermata. Un’altra volta stavo per perdere una spalla.”

Nei suoi occhi ho visto brillare gioia pura. Con tutte e due le mani ho stretto i bordi del tavolo, ho avuto la sensazione che un vento mi vorticasse intorno per trascinarmi via. Ho pensato mia moglie è pazza solo per un attimo, perché mi sono aggrappato ai vent’anni  in cui non ho notato in lei il benchè minimo segnale di squilibrio. A meno che non debba considerare insani il suo odio per i parrucchieri e la sua ostinazione a portare i capelli lunghi e incolti fin sotto al sedere come quando aveva vent’anni.

“Non ho finito”, sussurra.

“C’è dell’altro? Non sono per niente stupito, vai avanti.” Ho fatto lo spavaldo, lei ha sollevato un sopracciglio.

“Circa tre mesi fa un uomo mi ha osservata, dev’essersi spventato perché mi ha trascinata nella vettura tirandomi violentemente per un braccio. Mi ha detto faccia attenzione, è pericoloso. Lo ha detto con una certa intensità, come se avesse capito. Poi mi ha fissata per tutto il tragitto.”

E’ arrivato il cameriere con il dolce, per un interminabile minuto ha sistemato i piattini e le forchettine davanti a noi, ha versato del vino nei nostri bicchieri, ha riacceso la candela che s’era spenta quando Laura ha detto fluufff.

“E’ tornato ogni mattina per incontrarmi. E’ come me. Si fa sfiorare dai treni della metro nella galleria. La galleria sta a duecento metri dalla nostra fermata. Quando il pavimento comincia a vibrare lui entra in galleria e aspetta che il treno sfrecci sfiorando il suo corpo. Se ne sta spalmato contro il muro. Pochi terribili secondi di parossismo.“

E’ stato in quel momento che le ho chiesto se fosse andata a letto con quel tizio. Lei non mi ha risposto, mi ha puntato con gli occhi stretti a fessura come se stesse prendendo la mira al di sopra del fucile. Sono un idiota. Mia moglie mi dice che si eccita a rischiare di morire schiacciata da una porta automatica e io penso alle mie corna. L’idea del tradimento è talmente insopportabile che lì per lì non mi rendo conto che è un miracolo se in tutti questi anni non ho mai ricevuto una telerfonata dall’ospedale.

“Abbiamo cominciato a fare questo gioco insieme, prima il mio, dopo qualche giorno il suo. La prima volta che ho sentito la pressione del treno in corsa che mi spiaccicava contro la parete della galleria sono svenuta.”

“Perché? Perché tutto questo?” Le ho preso una mano. Mi sono quasi messo a piangere.

“Non te l’avrei mai detto se non avessi conosciuto quell’uomo.”

“Che significa? Che vuoi andartene con lui? Ma se i miei vestiti, perfino i miei vestiti hanno il tuo odore!”

“Tanto sarai tu a non volermi più. Sono fatta così e non voglio cambiare. Sappi che sarò ogni giorno alla stazione della metro con quell’uomo.”

Siamo rimasti in silenzio. Ho pagato il conto, siamo usciti in strada. Ho visto arrivare un’auto, ho preso Laura sotto il braccio per attraversare. Ho spinto mia moglie verso l’auto che stava passandoci accanto. Un secondo prima che finisse sul cofano l’ho ripresa strattonandola con forza.

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