La sinistra e il tramonto della complessità

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La sinistra e il tramonto della complessità

Renzi da un lato tenta di rafforzare la positività della sua idea di cambiamento e dall’altro insiste sulla malafede dei “nemici”.

La sinistra e il tramonto della complessità. Basta leggere la lettera scritta dal premier a Ezio Mauro su La Repubblica per rendersi conto che alla mediazione lui contrappone l’immediatezza, all’idea di collettività la personalizzazione. E’ l’esercizio che preferisce, salvo poi negarlo : “…nel Partito democratico hanno tutti cittadinanza alla pari, così come le tradizioni, le esperienze, le parole che ognuno di noi porta dentro questo progetto che è collettivo e anche personale perché riguarda nel profondo ognuno di noi, e non perché come vorrebbe chi ci vuole male c’è un uomo solo al comando”. Scrive “chi ci vuole male” ma è un plurale maiestatis. Il solo fatto di partire dal presupposto che chi non è d’accordo gli vuole male dimostra non solo la personalizzazione di ogni contrasto ma uno storpiamento preoccupante della coscienza critica che garantisce dialettica e democrazia.

Coloro a cui Renzi piace sono probabilmente molto simili a coloro che amavano e amano Berlusconi: antiintellettuali per scelta, fieri cultori di una parodia della dinamicità che in realtà ha una sua idea precisa di società statica e che si manifesta con un forte carattere dominante. La lettera di Renzi – che è schematica e che trasuda insofferenza –  da un lato tenta di rafforzare la positività del cambiamento che il governo propone e dall’altro insiste sulla malafede e l’inadeguatezza del pensiero dei “nemici”, di tutti quelli che lo sfidano sul terreno della concretezza. “Non siamo noi, non è il governo, non è il Partito democratico a cercare lo scontro”, scrive. E’ sempre un plurale maiestatis. E chi è allora? Landini? La rediviva Camusso? L’operaio a rischio licenziamento? Questo è un metodo elementare per ribaltare la realtà sempre a proprio favore.

Se il capo del governo spettacolarizza il suo non-rapporto con la società, con i cittadini e con i sindacati inviando in continuazione messaggi e tweet-slogan che creano un corto circuito piuttosto che una disposizione all’apertura e al dialogo, non può non sapere che la risposta arriva, e diventa opposizione attiva. Renzi desidera l’accettazione passiva perché è convinto di fare il bene dei lavoratori e del paese intero, ma la legittimazione di ciò che si fa non è mai automatica. “Nessuno ci fermerà, ce lo chiedono gli italiani” è un ritornello che va avanti da mesi, privo di senso. L’antagonismo strutturato è una forma sociale che rientra nella norma, che diamine, esiste proprio per ridurre le tensioni e non per acuirle. Se accade il contrario significa che Renzi vuole così.

In un periodo come questo rifiutare la riflessione critica considerandola – proprio come faceva Berlusconi – un intralcio e un incomodo è pericoloso. L’obiettività e Renzi camminano su due binari paralleli. Come si può raccontare che il jobs act è di sinistra e che il governo è di sinistra? “Ci sono due modi per cambiare l’Italia – scrive – Farlo da sinistra. Oppure farlo fare ai mercati, da fuori”  Andiamo: di quale sinistra stiamo parlando? Purtroppo per Renzi non si può eliminare il problema principale: la coscienza dei lavoratori, che sanno che la sfera politica ha ben poco a che fare con i loro interessi. Alimentare la propria compiaciuta soddisfazione fingendo di aver fatto molto e di voler cambiare a beneficio di tutti conduce solo al dogmatismo. Teoria ed esperienza non possono divergere a lungo.

In questo momento la UE sta pensando di bloccare i salari per tre anni in modo da agevolare le imprese. Il jobs act prevede i contratti di solidarietà espansivi (meno ore di lavoro, stipendi più bassi ma più assunzioni). Facciamo uno più uno e viene fuori un mercato del lavoro che indebolisce chi è già debole. Se Renzi fosse dalla parte dei lavoratori non piacerebbe più a Confindustria, a Marchionne e agli altri amici imprenditori. Amici che tra l’altro le imprese le hanno portate all’estero insieme ai capitali. Qui è impensabile investire senza finire stritolati dalle tasse, dicono, ed è vero, ma le tasse non possono diminuire se le pagano solo gli italiani con la busta paga: è aritmetica. Renzi a parole è vicino ai lavoratori, nei fatti l‘integrazione e la stabilità sociale non sembrano essere una priorità del governo. Se il premier vuole cambiare lo deve fare senza seppellire le necessità e i diritti sotto una coltre di slogan. Più seppellisce, più il tessuto sociale si disgrega.

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