Tra fare e creare c’è di mezzo l’ozio

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Tra fare e creare c’è di mezzo l’ozio

Il non fare nulla è la cosa più difficile del mondo. Lo diceva Oscar Wilde. L’ozio in filosofia, in letteratura e in poesia è l’esaltazione del tempo libero dell’uomo, è rigenerazione del pensiero, è prendersi il lusso di osservare la realtà e se stessi. La neuroscienza conferma che il cervello umano ha bisogno dell’ ozio per attivare al meglio i neuroni e per renderci creativi.

Tra fare e creare c’è di mezzo l’ozio. Andrew Smart in un libro tanto interessante quanto agevole – In Pausa, edito da Indiana – ci racconta ciò che le neuroscienze hanno dimostrato studiando il cervello umano: l’alta considerazione che nell’antichità si aveva per l’ozio come veicolo per toccare la totalità del sé era intuitivamente giusta, e non semplicemente dal punto di vista filosofico, perché dal punto di vista biologico l’ozio è fondamentale per l’attività neuronale, più precisamente per far funzionare la rete neuronale di default che progredisce proprio quando non facciamo altro che starcene distesi a osservare un soffitto o un panorama. Marx scommise su una società del futuro basata sul tempo libero e non sull’ossessione del fare e sbagliò clamorosamente. Noi in realtà siamo tutti vittime di una cultura che privilegia soprattutto il fare, che si basa sul mito dell’efficienza e della perfezione, che esige velocità e produttività oltre che spirito competitivo e che incita al moto perpetuo, anche al di fuori dalla sfera lavorativa.

C’è lo sport (quello che si pratica e quello che si segue da spettatori), c’è la televisione, ci sono le relazioni sociali, c’è la connessione continua col mondo, c’è la lettura, il gioco, la necessità di informarsi: insomma si può affermare senza tema di esagerare che la gran parte degli individui non pratichi l’ozio neanche la domenica. Il culto del fare e la convinzione che non si debba mai “sprecare tempo” ha fatto molte vittime tra i bambini che hanno le giornate scandite da troppi impegni e sembrano tanti piccoli amministratori delegati: non partecipano a riunioni e non prendono 3 aerei a settimana ma osservano una severa tabella oraria e hanno come segretaria la mamma che gestisce un’agenda fitta di appuntamenti.

Chi si ferma è perduto, e chi non ha molta dimestichezza col multitasking si sente un tantino menomato. Il nostro cervello ha un suo metabolismo, e se vogliamo che funzioni davvero bene dobbiamo concedergli tempo oziando. Non c’è altro modo per accrescere l’ideazione e la creatività, per attivare la memoria, perfino per riequilibrare l’emotività. Del resto basta riflettere su un fatto inconfutabile: l’iperattività non garantisce affatto maggior rendimento e maggiore abilità, piuttosto serve da alibi, aiuta a colmare un vuoto, a liberarsi del tempo libero, delle ore di spacco, del pantano delle festività pur di non rimanere invischiati con se stessi, soli, in silenzio, immobili.

E’ proprio nel tentativo di occupare pienamente il tempo che l’emotività e la capacità di elaborare pensieri originali perdono colpi, si atrofizzano. Il libro di Andrew Smart espone i risultati di una ricerca neuroscientifica che – in totale controtendenza – ci avverte che ci stiamo facendo del male e rivaluta l’ozio, un modo ormai inconcepibile di trascorrere le ore, il nemico numero uno dell’essere sociale inteso come produttore di risultati, non solo economici. Dopo aver letto In Pausa mi sono chiesta se in tempi di grave crisi occupazionale non sia in fondo più facile coltivare l’arte del dolce far niente, ma ho subito trovato la risposta, che è no. Occupati o disoccupati, impegnati nello studio o meno, non sappiamo quasi più cosa sia la modalità “pause” per il cervello perché viviamo attaccati a uno schermo, ce lo portiamo ovunque, gli addicted non lo lasciano neanche quando vanno a letto e in bagno.

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