La febbre di Pino Daniele

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La febbre di Pino Daniele

Ci vorrebbe un cappello per fargli il gesto largo e svolazzante del saluto finale, qualcosa che non sia tristezza: lui non se l’è sentita di avvertire, ha fatto in fretta, ha dato tutto quello che poteva e poi è sparito di nascosto senza fare chiacchiere, con la grazia e l’eleganza di un prestigiatore.

La febbre di Pino Daniele era la musica, quel rock-blues napoletano che ha portato nel mondo il suono e il senso di una città e che quel senso ha allargato fino a far fuori tutti i confini e le frontiere. Non so se i non napoletani possono capire: certe frasi, certe parole nelle canzoni di Pino Daniele – come appucundrìa – quando le sentiamo diventano per noi partenopei una valigia piena di stagioni e anche di espiazioni, un viaggio che ci fa tornare là, nel punto esatto da dove eravamo partiti. La sua musica ci portava e ci porterà sempre a casa, dovunque fossimo, dovunque saremo. E’ proprio così, perché la vita non dipende affatto da ciò di cui abbiamo coscienza, dipende dalle nostre impressioni nervose e sovrasensibili. Ogni tanto arriva un artista che ce lo fa capire, che sa dirlo a tutti indistintamente. Pino Daniele nella sua musica ha infilato un’ idea del mondo senza tradurla. Non ce n’era bisogno, era l’idea di una generazione di inquieti e di visionari che volevano cambiare le cose.

Un’epopea, Pino Daniele. Ci vorrebbe un cappello per fargli il gesto largo e svolazzante del saluto finale, qualcosa che non sia tristezza: lui non se l’è sentita di avvertire, ha fatto in fretta, ha dato tutto quello che poteva e poi è sparito di nascosto senza fare chiacchiere, con la grazia e l’eleganza di un prestigiatore. Non pareva tipo da lacrime e tristezze, non era uno a cui piacevano le frasi fatte e le facce da circostanza, non era uno a cui piacesse la retorica. Pino Daniele era lento e metodico, razionale, per questo scriveva poesia pura con le parole e con le note.

Lasciò Napoli fisicamente, come fanno quasi tutti i napoletani famosi, e forse qualcosa per strada la perse, un impercettibile segreto. Forse. Non importa, è giusto così: la nostra visione della realtà è sempre condizionata dalla posizione che occupiamo nello spazio e nel tempo, è una questione soprattutto di geografia, basta uno spostamento di due metri a oriente o a occidente perché l’intero panorama cambi. Lui partì per tornare sempre, continuamente. Lui partì per poter campare tranquillo: nella sua città non poteva più neanche passeggiare in santa pace, la passione della gente toglieva il respiro e dio solo sa quanto Pino Daniele avesse urgenza di quiete e di calma.

E’ l’essenza stessa dell’immaginazione che gli ha impedito di raggiungersi da vivo e di rimanere prigioniero di se stesso, di un luogo, di una storia circoscritta. La sua musica, al di là della sperimentazione artistica e del suo immenso valore internazionale, è simbolica: ha a che fare con una sorta di inspiegabile pietà per tutti e per tutto, e ha a che fare con la libertà. Pino Daniele è stato un uomo libero, ha scelto sempre di rispettare e di seguire la sua propria visione fatta di contraddizioni, caos, ironia, e ci lascia un inestimabile tesoro. Non si sa se basterà, quel tesoro, a colmare il vuoto. Fa male che i suoi funerali non si svolgano a Napoli. E’ una scelta incomprensibile, uno scippo. Quando morirono Eduardo e Totò, che pure non vivevano nella loro città natale, fu concesso ai loro orgogliosi concittadini di salutarli là, nel punto esatto da dove erano partiti.

NOTA: il post è stato scritto prima che la famiglia dell’artista decidesse di svolgere due funzioni funebri, una a Roma e l’altra a Napoli. Sconcertante e confusa gestione di una situazione evidentemente troppo dolorosa per consentire ai familiari la necessaria razionalità.   

 

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