La malattia del gioco

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  • In Italia ne soffrono 880 mila persone, e vi sono altri 2 milioni di soggetti a rischio: la malattia del gioco d’azzardo distrugge la vita e curarla non è semplice.

La malattia del gioco equivale alla dipendenza dalla droga, è una patologia grave che colpisce moltissimi individui e che non accenna a diminuire. Le cifre parlano chiaro: nel 2013 in Italia sono stati spesi ben 85 miliardi di euro per il gioco, sui quali si è calcolato che i giocatori abbiano perduto circa 17 miliardi. Queste cifre non comprendono i 5500 esercizi commerciali illegali presenti nel nostro paese, nei quali si va a scommettere su qualsiasi cosa, che fatturano 500 milioni di euro all’anno, milioni che non vanno nelle casse dello Stato. I negozi legalizzati per le scommesse sono 3500 circa, meno di quelli senza autorizzazione, eppure lo Stato non fa assolutamente niente per ostacolarli. Le 13 società concessionarie per il gioco hanno un rapporto con lo Stato italiano che non si può definire limpido: in realtà non si sa chi c’è dietro, non si sa chi sono i proprietari di quelle società e quali legami abbia il mondo del gioco d’azzardo con la politica. Stiamo parlando di un giro d’affari macroscopico che sfiora i 90 miliardi all’anno. Trasparenza e verifiche sarebbero non solo auspicabili ma doverose. Si sente ancora l’eco delle proteste per il maxi condono concesso all’azzardo dai politici come se fosse una cosa normale, e morale.

  • La pubblicità è ambigua, propone e non dissuade, nello stesso tempo avverte che il gioco è pericoloso e non bisogna abusarne

Non è chiaro neanche l’atteggiamento che lo Stato assume nei confronti della pubblicità. La pubblicità propone e non dissuade, nello stesso tempo avverte che il gioco è pericoloso e non bisogna abusarne. Una contraddizione in termini vistosa e anche ipocrita, perché se il cittadino guarda lo spot che sponsorizza il superenalotto o altre offerte ludiche legalizzate raccoglie solo l’invito a tentare la fortuna e ignora l’avvertimento, che è solo una parentesi, un dovere con cui lo Stato si mette a posto con la coscienza. Il gioco è una piaga sociale, e in un periodo di depressione economica come quello che stiamo attraversando diventa – irrazionalmente – l’unico appiglio per la disperazione. Ci si affida all’aleatorietà dei numeri o dei pulsanti di una slot machine per risolvere i problemi, sperando di fare il colpaccio col quale si azzereranno i debiti, le paure, lo sconforto. Prendersi cura di quanti entrano nel gorgo della malattia psichica e della patologia dovrebbe essere il minimo, da parte dello Stato. In realtà esso non spende un centesimo per il recupero degli individui affetti da GAP (gioco d’azzardo patologico), eppure le conseguenze disastrose di una vita spesa a giocare compulsivamente si pagano anche col suicidio.

In questi giorni anche Marco Baldini fa parlare di sé a causa della malattia del gioco. Una volta spinto dentro al vortice non è più riuscito a smettere. Ha perso famiglia, lavoro, denaro. Chiede aiuto e fiducia per potersi risollevare, per poter onorare i debiti contratti. Ha una certa notorietà, forse qualcuno che gli dia una mano lo troverà, forse no, ma guardarlo è come guardare tutti gli altri sconosciuti nelle sue condizioni. Sono uomini che nelle orecchie hanno un ronzio da bar, di quei posti in cui sono costretti ad entrare per poter trovare un poco di pace effimera. Non ci possono fare niente, sono malati, perdono leggerezza ed entusiasmi, diventano insonni e insofferenti. Il bello è che li si considera ancora viziosi. Sono malati d’azzardo, il loro dio è un dado, l’oggetto più antico col quale l’essere umano sulla terra s’è cimentato per giocare. In arabo dado si dice proprio “az-zahr”. Dal primo lancio di dadi non abbiamo mai smesso di rincorrere la fortuna.

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