Non è un paese per adulti

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Non è un paese per adulti

La generazione dei giovani ce la siamo perduta, si sa, ma chi si sente perso dopo i 50 anni vive una vera e propria devastazione e non può aspettarsi la stessa considerazione che si ha per i ragazzi. “Ormai”, è quello che ti dicono.

Non è un paese per adulti, il nostro. Il bollettino ci dice che sono già più di 200mila gli over 50 che hanno fatto i bagagli. La crisi ne ha feriti parecchi, e una volta perso il lavoro a 50 anni si devono anticipare di molto le ferie da pensionato senza gloria, fare i conti con il senso dell’interezza e della dignità perdute, e fare proprio anche i conti veri, quelli coi numerini che s’assottigliano e calano e calano ogni mese. E allora ci sono due alternative: o l’accettazione delle pantofole che hanno voluto farti infilare in piena corsa oppure riparare all’estero. Si va a est, se è per lavorare ancora. Quelli che vanno a est si spostano con tutta la fabbrichetta e si lasciano di solito alle spalle un pò di disoccupati, mors tua vita mea, qui i dipendenti costano un botto e se ci mettiamo pure la tassazione esorbitante, le banche che non sganciano più neanche se sali sul tetto, i clienti che non pagano, insomma alla fine in tasca rimane troppo poco, certe volte non c’è che da rimetterci di tasca propria pur di non chiudere. Non sono bei gesti, c’è poco da elogiare, bisognerebbe mettersi nei loro panni per capire se si tratta di avidità ed egoismo oppure di istinto di sopravvivenza, roba da giungla o da dopoguerra. Altri viaggiano oltreoceano, arrivano in certi paesi nuovi e spaziosi dove tutto costa pochissimo e se non si fa impresa non c’è nessuno che chiede “ma lei che lavoro fa?”, il ritmo è un altro, il clima è un altro, se la mattina non timbri il cartellino non sei un disadattato, sembri un fortunato anche con i tuoi risparmi striminziti. La maggioranza emigra per disperazione bella e buona, almeno all’estero a 50 anni riescono a lavorare anche con contratti precari o a progetto, se restassero qui sarebbero solo porte in faccia.

La generazione dei giovani ce la siamo perduta, si sa, ma chi si sente perso dopo i 50 anni vive una vera e propria devastazione e non può aspettarsi la stessa considerazione che si ha per i ragazzi. “Ormai”, è quello che ti dicono. Ormai un corno : mica i bisogni, le necessità, la dignità e i desideri spariscono, a 50 anni. Stanno lì, come per tutti, e in più odorano di fallimento, che è una parola brutta e indigeribile. Lo dice anche la scienza medica: oggi un 50enne è come un quarantenne degli anni ’60, fisicamente ha la stessa energia e la stessa salute, non è un vecchio, eppure in Italia per il mondo del lavoro è un essere invisibile, un catorcio. La vera diaspora è la sua, suo è l’esilio e l’innesto in territorio straniero. Il 50enne che emigra il senso del ritorno a casa se lo porta appresso sempre.

Gli austeri dettami della grande Germania e gli incredibili inetti che ci governano ci cacciano via uno a uno, mentre il 10% dei ricchi pare che dentro la crisi si sia arricchito di più, e anche arroccato, non si sa mai. S’è creata tutta una fascia di umanità da riparazione, gente a cui è sparito l’orizzonte davanti, s’è ristretto tutto quasi all’improvviso proprio in un’età difficile in cui di solito una volta si raccoglievano i frutti della semina, si mettevano da parte e si continuava a seminare come s’era imparato da papà. E dunque se tutto è cambiato non si disdegna di fare i bagagli. Bisogna avere un animo avventuroso, l’insoddisfazione dopo una fregatura a certi uomini mette una mina nello stomaco, bisogna vomitarla e crearsi un modo nuovo di esistere che dia soddisfazione, non è possibile tentare di risolversi la vita col superenalotto e i gratta-e-vinci.

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