Una strage di cui nessuno parla più

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Una strage di cui nessuno parla più. Dal 1981 ad oggi l’AIDS ha causato ben 36 milioni di morti. Chi non avesse visto The normal heart di R. Murphy lo faccia: è un film-denuncia tratto da una pièce teatrale di Larry Kramer e che negli USA è stato portato in televisione lo scorso maggio, un film altamente drammatico che racconta cosa accadde quando il virus, dal nulla, cominciò a terrorizzare gli Stati Uniti. Ci vollero 6 anni perché un presidente – Reagan – nominasse per la prima volta pubblicamente la parola AIDS. In Europa le cose andarono un po’ meno peggio, in Francia l’equipe del professor Luc Montagnier mise a punto una cura nel 1983, ma trascorse ancora del tempo prima che la terribile malattia fosse curabile e gestibile. Negli Stati Uniti quella cura venne praticamente ignorata.

I fondi per la ricerca, prima lesinati, vennero concessi quando ci si rese conto che il virus non faceva discriminazioni tra omosessuali ed eterosessuali. Le comunità gay di tutto l’occidente, prima di allora, vissero un periodo di isolamento e di paura devastante: dopo aver raggiunto risultati in termini di accettazione sociale e di diritti, si ritrovarono nuovamente isolati e guardati con sospetto, in un modo anche peggiore perché erano o meglio sembravano essere i soli portatori di un male pericoloso e sconosciuto. Non furono sporadici i riferimenti alla punizione divina, come si fosse tutti ripiombati attraverso l’irrazionalità in un oscuro medioevo.

Oggi ogni giorno 6000 persone vengono infettate dal virus HIV, eppure sembra un argomento privo di interesse e non si fa più prevenzione, qui in Italia in particolare. Le ragioni sono probabilmente due: la prima è l’erronea percezione generalizzata di sicurezza, dato che molti sono convinti che la malattia sia tenuta sotto controllo e che colpisca specialmente i paesi in via di sviluppo. La seconda ragione è legata alla mancanza di fondi: il test HIV viene consigliato e richiesto raramente dai servizi sanitari italiani proprio per ragioni economiche. Nei paesi dell’Africa sub-sahariana e in India, dove si concentra più della metà dei casi di tutto il globo,  la prevenzione è invece costante e da alcuni anni finalmente il numero di persone che hanno accesso ai farmaci antiretrovirali è cresciuto facendo diminuire sia la trasmissione madre-figlio che i decessi. Oggi con l’AIDS si può anche convivere, a patto di informare le persone per prevenire i contagi.

Nel nostro caso siamo il fanalino di coda in Europa, ma i paesi dell’est non se la passano meglio di noi. In Francia e in Spagna invece i nuovi casi sono drasticamente diminuiti negli ultimi anni. Il dato italiano più eclatante riguarda il 2012, anno in cui abbiamo avuto addirittura 1700 decessi, il che – in un’epoca in cui la farmacologia permette di controllare l’andamento della malattia – ha dell’incredibile. La maggioranza degli infettati italiani, oltre l’80%, contrae la malattia a causa di rapporti sessuali non protetti. Pare che le donne italiane facciano uso di pillole contraccettive molto più di quanto gli uomini usino il preservativo. La pillola protegge da gravidanze indesiderate, non dall’AIDS.

E’ il caso di prendere in considerazione anche il fatto che le abitudini sessuali dei più giovani – ma anche degli adulti – si sono modificate: il comportamento bisessuale è in crescita, come è in crescita la tendenza a cambiare rapidamente partner o a intrattenere relazioni multiple. E’ ipocrita oltre che da incoscienti non informare capillarmente le persone e i ragazzi in modo da educarli alla profilassi. Il prossimo dicembre, nella giornata mondiale della lotta all’AIDS, ricordiamoci di ricordare alle istituzioni che è importante fare prevenzione, parlare nelle scuole, incentivare campagne informative anche attraverso la televisione per evitare altri contagi. L’AIDS non è il passato, rimane la malattia infettiva che ancora miete più vittime nel mondo.

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