Abbiamo un problema

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Abbiamo un problema, è il sud del paese. Il problema è di tutti, non solo di chi al sud ci vive: riguarda il centro, il nord, e visto che siamo in Europa e che se l’Italia nel suo insieme non si risolleva ci va di mezzo anche la stabilità del continente, il sud riguarda perfino la UE. Di solito nel mondo animale e tra gli umani succede che il forte schiaccia il debole e il debole, a sua volta, non può fare altro che schiacciare chi è ancora più debole di lui. Funziona così. Anello debole della catena, il meridione attraversa un periodo talmente grave che certi parametri lo fanno retrocedere ai tempi della prima guerra mondiale: la mortalità e la natalità, per esempio, sono tornate ai livelli del 1918, quando i decessi superavano le nascite. Si sta impoverendo, il sud, anche di forza lavoro giovane. Chi può scappa, sale, imbocca la corsia d’uscita, e anche se i campani, i siciliani, i calabresi, i pugliesi e i lucani la migrazione ce l’hanno nel dna, questa volta è la più rassegnata fuga di tutte le altre. Non si sente neppure più la nostalgia del quartiere che si lascia, o dei parenti, perché ormai si tratta di lasciare un’epoca intera, una civiltà decaduta e non solo il condominio degli affetti.

Se il destino di una parte d’Italia è quello di diventare ricchezza e braccia e forza di altri Stati, di altre nazioni, qualche parola sul perché e sul come è sempre il caso di sprecarla. Il sud aveva ricchezza e stabilimenti siderurgici e meccanici, flotte navali private, un’agricoltura fiorente, e le banche più potenti, e accoglieva perfino gli emigrati lombardi, il che adesso è difficile da credere. Era proprio così, il sud. Terra felice e prospera, colorata e ambiziosa, diede all’Europa la prima ferrovia, e studiosi di filosofia, archeologia, economia, diritto. Tutto questo, con un bagno di sangue sparì, insieme al regno delle due Sicilie. Da allora il meridione ha meno diritti, meno infrastrutture, meno voce, meno uguaglianza, meno ricchezza e nessunissimo rispetto da parte degli altri, della classe politica e di quelli che si credono migliori perché semplificano la storia e non si considerano parte in causa.

Pino Aprile, il più grande meridionalista d’Italia, scrive: ” La storia del Piemonte è storia d’Italia, quella di Venezia è storia d’Italia, quella di Roma è storia d’Italia. Quella del sud è storia dei meridionali, storia brutta: da tacere agli stessi meridionali. La storia d’Italia non vuole, come parte di quella comune, la storia del sud. ” E scrive anche che al nostro paese è mancata l’onestà di rendere onore ai vinti. I vinti servivano per fare razzìa delle loro risorse, le loro terre per fare da sversatoio. La sola risorsa meridionale che hanno favorito è stata la mafia, quella che oggi a vario titolo fa affari al nord e in Europa. Qui sotto la foto di uno dei crolli verificatisi a Pompei : al sud c’è la più alta concentrazione al mondo di beni culturali e archeologici, c’è un patrimonio artistico che non ha paragone con nessun altro. Le condizioni in cui versa questa ricchezza incommensurabile sono note.

Il paese non sarebbe questo se il sud avesse avuto la possibilità di continuare a svilupparsi, ma le risorse meridionali, piuttosto che sfruttarle per produrre ricchezza per tutti, sono state del tutto ignorate, quando non disgregate. Se il valore di chi vince si misura da quanto ha distrutto, secondo l’amara visione di Aprile, il nord “convinto di aver fatto un affare, finirebbe con la cassa in orbita tedesca, in posizione subordinata, terronica: com’era prima, con l’Austria. E perderebbe pure la cassa.”

 

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