Big Sur

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Ci sono stata a Big Sur, California. Appena arrivai una strana nebbia stava salendo dall’oceano per coprire tutto il paesaggio in pochi minuti. Era strana perché non aveva nulla a che vedere con la solita nebbia, la polverina umida che si intromette tra noi e le cose intorno rendendo la visione del mondo grigia e triste. Quella specie di frammenti di tulle vecchio che vidi a Big Sur donava all’erba e alle colline e al mare un aspetto onirico. Lembi beige, arancione, lilla si posavano sugli arbusti, sull’erba, tra le rocce…Davanti a quello spettacolo pensai subito di essere arrivata in paradiso.

Trovammo da dormire e da mangiare in un posto che si chiamava Three oax , era tutto di legno e c’erano gatti ovunque. Gatti enormi, come è enorme ogni cosa animata e inanimata in America. Intorno a noi si muoveva con flemmatica eleganza una popolazione di trenta-quarantenni ancora vestiti e pettinati come gli hyppies degli anni ’60. C’erano pure dei vecchi, qua e là, ma anche loro affatto diversi. Cedendo a uno stile di vita erano precipitati all’indietro. Avevano sempre qualcosa da aggiustare: un motore, un surf, una panca, un’insegna di bar. Non se ne stavano mai con le mani in mano ma sembravano comunque degli sfaccendati, non so perché, e lo considero un complimento. Mediamente più belli di tutti gli altri americani che avevo incontrato fino a quel momento, probabilmente erano gli eredi dei primi abitanti del posto, i nativi americani, o gli imitatori della vecchia colonia di artisti che si stabilì lì tra gli anni ’50 e ’60,  quando Kerouac – quarantenne, già famoso e alcolizzato –  scrisse una parte di “Big Sur ” nella capanna dell’amico Lawrence Ferlinghetti, che aveva scelto di vivere in quel luogo selvaggio e tranquillo.

Nel periodo in cui Henry Miller ci abitava (dal 1944 fino al 1962) la gente doveva faticare e aspettare, anche per soddisfare i bisogni più elementari: una volta a settimana arrivava un furgone con la posta e con i viveri per tutti, e questo era il solo contatto con il mondo civilizzato. Non c’era neanche la linea telefonica, quindi suppongo che a Big Sur si scrivessero lettere in gran quantità . Henry Miller non era ricco, e non possedeva un’automobile. Per raggiungere il paese più vicino doveva supplicare i pochi motorizzati per un passaggio o far l’autostop, ma a giudicare da ciò che scriveva  non  risulta che si allontanasse spesso da casa . Prima di Big Sur non si era mai fermato.

“ Voglio morire come città per nascere come uomo”. Era la protesta di Miller ; Big Sur ha rappresentato per lui un tentativo di fuga dalla città, dalla civiltà meccanizzata, dal vuoto che si nasconde dietro al progresso. “ Incubo ad aria condizionata” è una feroce e spietata radiografia dell’America, ma Miller non era un ecologista ante-litteram : era un profeta, e la differenza sta nel fatto che i profeti guardano col loro terzo occhio ma non si illudono che il mondo possa cambiare e l’uomo diventare migliore di come è. Big Sur era la conferma  delle sue convinzioni : una comunità ideale i cui componenti non volevano cambiare l’America, non proponevano alcuna alternativa al sistema disumano ma desideravano semplicemente starsene ai margini, in equilibrio armonico tra loro. Sono queste le ragioni per cui Miller è stato considerato il padrino della Beat Generation e la sua casa il luogo di ritrovo di tutti gli aspiranti scrittori americani anarchici e ribelli.

Sono andata a Big Sur per vedere il posto che lui aveva scelto come grembo dal quale rinascere. Non si rimane delusi, neanche adesso che l’atmosfera è cambiata : la bellezza selvaggia del luogo è la stessa, lo sarà sempre, e forse anche l’odore particolare che viene dall’oceano, dalla vegetazione e dal legno con cui sono costruite le case. Certo la sera i ristorantini  bianco-azzurri con musica lounge  ospitano una clientela di lusso, gente che viene da Monterey, da Carmel e da San Francisco, che credo sia una delle città più belle degli Usa. Durante il giorno le spiagge pullulano di ragazzi e ragazze  che fanno surf. Ma se ci andrete provate a far colazione, al mattino presto, in uno dei localini bui e fumosi lungo la strada, dove mangerete schifosissimi muffins ricoperti di salse dolciastre e vedrete intorno a voi gente tranquilla, cani educati accucciati sotto ai tavolini e chitarristi, veggenti, astrologhe, poeti senza fama, pittori. Oppure provate a guardare verso il mare al tramonto: i lembi di tulle possono arrivare all’improvviso, e se state un poco in silenzio sentirete la loro musica .

“ Avrei imparato che bisogna scrivere parecchi volumi prima di firmarne uno col proprio nome. Dovevo imparare, e feci presto, che bisogna rinunciare a tutto e non far altro che scrivere, scrivere e scrivere, anche se tutti al mondo ti sconsigliano, anche se nessuno ti crede.” HENRY MILLER

 

 

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