Quando si diventa adulti?

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Quando si diventa adulti?

Quali sono i parametri per decretare se un individuo è diventato adulto? Di solito si è adulti quando ci si assume delle responsabilità in totale autonomia, quando si hanno una casa, un lavoro, un partner fisso e dei figli. Chi ha stabilito queste regole e questi principi che forniscono agli esseri umani la patente di adulti maturi?

Quando si diventa adulti? L’ età adulta oggi arriva in ritardo: perché? Sono domande a cui è difficile rispondere con certezza e che il New York Times nel giorno di Natale ha posto dalle sue colonne a un nutrito gruppo di esperti. Dopo il NY Times, ieri  anche Le Monde in Francia ha dedicato attenzione alla questione. Ho letto l’uno e l’altro e ho scoperto che solo alcuni esperti tra i sociologi, gli opinionisti, gli psicologi intervistati considerano la crisi come la causa principale del ritardo nella maturazione giovanile. Ho l’impressione che sbaglino a sottovalutare un evento che ha davvero modificato larga parte del nostro sentire e credo che proprio la crisi economica, politica e sociale contenga in sé tutte le domande e le risposte. Naturalmente si tratta di argomenti che interessano il mondo occidentale e occidentalizzato: mi sa che è difficile porre certe domande a un siriano o a un palestinese.

La prima cosa che si dovrebbe fare per affrontare il tema della maturità di un individuo ( e che il NY Times non ha fatto) è dividere la società in due– quella dei ricchi e quella di tutti gli altri – perché è chiaro che al figlio di un milionario o di una famiglia piuttosto agiata che si attarda ben oltre i trent’anni coi divertimenti e il fancazzismo non succede niente di irreparabile, niente a cui il denaro o le conoscenze non possano porre rimedio. Se invece parliamo di un trentenne nullafacente la cui famiglia è priva di risorse economiche e di mezzi che possono consentire un ingresso privilegiato nel mondo del lavoro il discorso cambia completamente. La divisione tra ricchi e non ricchi serve a chiarire una cosa fondamentale: una parte di giovani può scegliere di non maturare e invece un’altra parte di essi è spesso costretta a non emanciparsi.

E quali sono i parametri per decretare se uno è diventato adulto? Di solito si è adulti quando ci si assume delle responsabilità in totale autonomia, quando si hanno una casa, un lavoro, un partner fisso e dei figli. Chi ha stabilito queste regole e questi principi che forniscono agli esseri umani la patente di adulti maturi? Non certo un dio, non la natura, non un grande saggio, bensì la stessa società nella quale viviamo. Dalla rivoluzione industriale in poi anche il capitale ha fatto la sua parte, sissignori, perché le leggi del mercato riguardano il denaro ma hanno a cuore la stabilità, e la stabilità ha a che fare con la morale: vivere in coppia, fare figli e lavorare per crescerli e consumare, sono elementi imprescindibili per il buon funzionamento di una società capitalistica.

Perché la maggior parte dei trentenni non somiglia ai genitori quando avevano la stessa età? Solo per ragioni economiche? Secondo me sono importantissime, così come è importante il fattore “flessibilitànel lavoro, dato che è ormai obbligatorio accettare di non avere più un posto fisso, di non sognare una pensione per la vecchiaia e di immaginare di doversi spostare da una città all’altra o da uno Stato all’altro per lavorare. Non sono i presupposti in base ai quali costruire un’esistenza a imitazione di quella delle generazioni passate, mi pare. A questo dobbiamo aggiungere la perdita di fiducia nell’istituto familiare, che evidentemente non è più stabile e non sembra neanche essere più in grado di elaborare nuovi modelli educativi, fatte salve certe belle eccezioni. Anche la flessibilità sessuale ha il suo peso, chi vuole può leggere qui.

Il solo dato certo è che generalmente dal punto di vista sociale oggi si riesce a rientrare nel ciché dell’individuo maturo intorno ai 40 anni, poco al di sotto: un disastro per l’orologio biologico delle donne, perché quello è immutabile, preciso e inesorabile. A meno di non incaponirsi a volere figli solo in seno a un nucleo stabile ed economicamente autosufficiente le donne potrebbero guardare le cose da una prospettiva diversa, dimenticando i “canoni classici” dell’amore perfetto, accantonando l’idea e vivendo la maternità in maniera nuova accanto a uomini nuovi: può essere meno rassicurante ma forse si acquista coraggio e si naviga a vista senza necessariamente farne un dramma. Non navighiamo forse a vista tutti, anche i più fortunati?  Non è detto che il futuro che ci aspetta debba essere in tutto e per tutto simile al passato e soprattutto non è detto che debba per forza essere peggiore.

Immagino che il cambiamento debba arrivare dai ragazzi, i quali dovrebbero insegnarci a vedere una crisi così vasta e totale come un’opportunità e un’occasione per ripensare tutto, per scoprire modi nuovi di vivere, di lavorare, di impiegare il tempo, di usare il denaro, di amare. Spetta ai ragazzi – proprio a coloro a cui hanno scippato le certezze – trovare la strada evitando di rispondere alle domande sulla maturità, trastulli per adulti disorientati. I nativi digitali hanno a disposizione mezzi di comunicazione straordinari, tecnologia, informazioni una volta impensabili : per una volta non consideriamo il progresso della tecnologia come corresponsabile della perdita di posti di lavoro, guardiamo le cose dal lato migliore, come riesce a fare Jeremy Rifkin quando ci racconta della futura società a costo zero, quando ci invita a cambiare tutto. Visionario? Ce ne fossero di più!

Ecco cosa scriveva Einstein della crisi:

“Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose.

La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere ‘superato’.

Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza. L’ inconveniente delle   persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.”

(tratto da “Il mondo come io lo vedo”1931)

 

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