Tutto come prima, più di prima

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Tutto come prima, più di prima

Lo scontro tra occidente e mondo arabo è disastroso, una rovina. Bisognerebbe trovare una strada nuova per mettere fine a questo scempio.

Tutto come prima, più di prima. La crisi in Medio Oriente e gli errori del passato rimbalzano in Europa, arrivano a Parigi. Reazione nuova, ma non imprevedibile. In queste ore ci dicono che i servizi segreti algerini avevano avvertito e allertato i servizi segreti francesi circa la possibilità di attentati clamorosi il 6 gennaio. I terroristi tra l’altro erano ben noti anche negli Usa come soggetti pericolosi Cosa è stato fatto? Nulla.

Tutto ciò che sta accadendo, non certo solo qui nel continente ma anche in Siria, in Iraq e altrove, è spia ed effetto di un disorientamento totale, è il prodotto della lunga crisi in M.O. e degli errori compiuti dall’Occidente attraverso un intricato intreccio di politica, economia e finanza, di convenienze e di repentini cambiamenti, di attacchi, di guerre. Consideriamo le guerre e gli eccidi di IS poco distanti da noi come qualcosa a cui fare l’abitudine, qualcosa di ineluttabile da guardare con dolore e stupore ma che non ci riguarda e le cui motivazioni ci sfuggono. Oggi come prima, più di prima.

Nel 1990 Bernard Lewis, espertissimo islamista americano, professore emerito di studi mediorientali, affermava: “L’istinto delle masse non sbaglia quando indica nell’occidente la fonte primaria dei cataclismi del mondo islamico. E poiché gli Stati Uniti sono il legittimo erede della civiltà europea e il leader riconosciuto e senza rivali dell’occidente, hanno ereditato anche le relative lagnanze, diventando il bersaglio principale di odi e rabbie repressi. […] Nel febbraio 1989 a Islamabad il centro culturale dell’Usis fu attaccato da una folla furiosa per via della pubblicazione dei Versetti satanici di Salman Rushdie. Rushdie è cittadino britannico, indiano di nascita, e il suo libro era stato pubblicato cinque mesi prima in Inghilterra. Ma ciò che provocò la rabbia della folla e anche la condanna a morte per l’autore da parte di Khomeini fu la pubblicazione del libro negli Stati Uniti. Dovrebbe essere chiaro che ci troviamo di fronte a stati d’animo e a movimenti che trascendono il livello dei problemi e delle politiche, e dei governi che le perseguono. […] Ed è di importanza cruciale che, da parte nostra, non ci si senta sollecitati ad assumere atteggiamenti di reazione altrettanto irrazionali contro quel rivale”.  [Da Saddam Hussein, l’altro muro: l’occidente e il mondo arabo, di Kiwan e Cristiano, Edizioni Associate 1991]

Le enormi ricchezze del mondo arabo sono controllate da piccolissime monarchie del petrolio, dagli sceiccati del Golfo coi quali l’occidente fa ottimi affari. Se si vuole porre fine a uno stato di cose che peggiora di anno in anno e che sta decimando intere popolazioni, oltre alle questioni politiche – non ultima la definizione dei confini e della questione israelo/palestinese –  bisognerà pure un giorno o l’altro affrontare le questioni economiche, accettando di ridistribuire le risorse perché una parte fondamentale del mondo trovi equilibrio e dignità, e affinché noi occidentali troviamo il nostro equilibrio. Le ambiguità sono troppe per fingere di non vederle.

La contrapposizione tra islam e occidente è utilissima a perpetrare lo status quo: gruppi sempre diversi e sempre più violenti armati fino ai denti (da chi?) nonché spesso ricchissimi hanno potuto imperversare e spargere terrore là dove la più alta concentrazione di musulmani e di arabi nasce e vive. Sono loro le più numerose vittime dell’integralismo. Il disordine nell’area mediorientale serve, e talvolta è stato conseguenza di “errori” (così indulgentemente chiamiamo i nostri disastri politici) come quello della guerra in Iraq.

Stiamo ripetendo all’infinito uno schema che è il pantano da cui dovremmo uscire tutti al più presto, perché tale schema utilizza strumenti vecchi, irrazionali e crudeli, da ambo le parti. Noi vogliamo esportare democrazia ma sosteniamo e creiamo regimi dittatoriali e oscurantisti, loro rispondono con terrorismo e violenza. Se non si cambia sarà sempre peggio. In queste ore in Europa le destre si rafforzano e gioiscono, invocano la pena di morte, gli islamofobici sono soddisfatti, il regno della Paura si assesta un po’ di più, a oriente e a occidente. In queste ore opinionisti e politici fanno leva sulle nostre insicurezze e sulla dimostrata difficoltà dell’intelligence a difendere tempestivamente i parigini da 3 soli pazzi fanatici per dirci che bisogna diventare meno buoni, reagire con bombardamenti, essere meno accoglienti, rafforzare l’Europa.

Ma è possibile che nessuno nella UE si interroghi su cosa ne abbiano fatto i francesi delle informazioni ricevute dall’Algeria, che nessuno si interroghi sulla rabbia che le banlieues generano nei diseredati, perché come tali li trattiamo? Nessuno si chiede se sia normale appoggiare interventi armati e sovvertimenti di regimi nei paesi mediorientali alimentando e non eliminando il caos per decenni e poi pretendere di chiudere le porte in faccia ai profughi perché il terrorismo incombe? Lo scontro, più che culturale, è intercapitalistico, è una partita che si gioca tra le potenze del nord sul campo del sud del mondo, e il sud del mondo non ci vuole più stare. Lo scontro ha a che fare con la rottura sistematica e annosa di ogni equilibrio in regioni già instabili di per sé, e ha a che fare con la continua infrazione delle regole della convivenza internazionale. Il problema non è nato il 6 gennaio, ma noi ogni volta partiamo dall’oggi, come se non ci fosse un passato pesantissimo alle nostre spalle.

Quanto alla tristissima fine dei 12 giornalisti e vignettisti di Parigi, #jesuischarlie tutta la vita se si tratta di difendere libertà di opinione e laicità, je ne suis pas Charlie se non posso dire che le vignette sono brutte, che ricordano un passato triste e la caricatura di altre facce. Je ne suis pas Charlie se non posso dire che ciò che sta succedendo ci deve far riflettere su quanto sia sbagliata la strada della contrapposizione a oltranza, anche quando le motivazioni sono encomiabili, nobili oppure semplicemente giustificabili. La satira è certamente sacra, ci mancherebbe altro, e Charlie Hebdo le sue posizioni piuttosto precise ce le aveva: in passato dedicò un elogio a Oriana Fallaci e al suo punto di vista, che era un punto di vista molto radicale e univoco, un punto di vista intollerante. L’ho già scritto in un altro post: li vorrei vivi, vivissimi, e non credo che nessuno di noi avrebbe percepito come accomodante o vigliacco un atteggiamento soltanto un po’ meno radicale, visti i tempi.

Il senso dell’opportunità e della responsabilità cozza con il senso stesso della satira, eppure secondo me in determinate circostanze non lede alcuna libertà, non la limita: consente un uso meno improprio dei nostri strumenti migliori che sono autonomia di pensiero, laicismo, lotta all’intransigenza sempre e in ogni sua forma. La presa di posizione di tutta la stampa americana che da tempo ha deciso di non scherzare sull’islam e che non ha pubblicato e non pubblicherà le vignette di Charlie Hebdo mi sembra pragmaticamente utile a evitare drammatiche ripercussioni sulla vita delle persone. Chi volesse considerare questo atteggiamento non come saggio ma come opportunistico o censorio sbaglierebbe: non mi pare affatto che la stampa americana sia meno libera di quella francese, e della nostra non ne parliamo nemmeno.

 

 

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